Il referendum sull’articolo 18. C’è chi è aggrappato al passato (italiaoggi.it)

di Marco Bianchi

Dinosauri

Qualsiasi straniero che all’improvviso piombasse nel nostro Paese senza nulla conoscere, imbattendosi in uno dei tanti sproloqui sul lavoro di Landini (a cui molto spesso si accodano Conte, Schlein e compagni) si chiederebbe di certo se la macchina del tempo lo abbia proiettato all’indietro.

Eh già, perché non c’è niente di più arcaico, inutile, datato, antico dei proclami che si ascoltano dagli esponenti della sinistra italiana.

Bollare come “aumento del precariato” gli oltre nuovi 500mila assunti (quasi tutti a tempo indeterminato) sarebbe errato, se non fosse fatto in malafede. Definire “lavoro povero” quello di chi è regolarmente assunto con applicazione di Ccnl con paga oraria di 8,50 euro, è populista e fa parte della eterna campagna elettorale.

Rimpiangere il Reddito di Cittadinanza, per il quale sono stati dilapidati decine e decine di miliardi, significa non avere come visione del futuro una popolazione giovane proattiva che si cerca il lavoro. Ma il capolavoro è il Referendum per il ripristino dell’art. 18.

Secondo i promotori del quesito referendario questo articolo (abrogato dal Job Act) è la barriera contro i licenziamenti selvaggi. Mentre per chiunque abbia un minino raziocinio è un capolavoro di becera inutilità e di furore ideologico, ma dalla praticamente nulla valenza sostanziale. In un altro mondo, in un’altra Italia, in un’altra epoca ha avuto anche una sua logica, pur irrigidendo (e non poco) il mercato.

Ma il problema attuale dei lavoratori non sono certo i licenziamenti selvaggi, anzi al contrario. Oggi il lavoro c’è, ma mancano i lavoratori. Oggi in Italia abbiamo infatti un esubero di offerta di lavoro, ma non abbiamo i lavoratori con le competenze adatte a occupare quei posti di lavoro.

Nei prossimi mesi UnionCamere prevede la disponibilità di circa 1,6 milioni di posti di lavoro disponibili, ma è già noto che la maggior parte non saranno occupati per mancanza dei profili specialistici richiesti.

Oggi il problema non sono i licenziamenti, ma l’assenza delle necessarie competenze. E davanti a questa palese e oggettiva realtà gli anacronistici sinistri scioperano, protestando contro il JobAct e contro il lavoro precario.

In che mondo vivano non è dato sapere, ma di certo lo sanno i loro ex iscritti che a frotte non rinnovano più la tessera aderendo ad altre organizzazioni sindacali.

D’altronde, come si fa a restare iscritti a un associazione che guarda al futuro con lo sguardo e le idee rivolte al passato?

(italiaoggi)

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