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Pd, il flop della piazza di Schlein: poca gente, tante correnti

di Edoardo Sirignano

Altro che Piazza del Popolo, il Pd di Elly Schlein 
riempie a mala pena mezza Piazza Testaccio. 

Nonostante ci siano nomenclatura, dirigenti e apparati vari, il comizio della capitale, da qualche big definito come «l’altra Festa della Repubblica», si rivela un fallimento.

A parte il solito scatto ad arte di Furfaro, la verità è che Schlein inizia con mezz’ora di ritardo perché i volontari non sanno a chi dare le bandiere. Molte restano sotto il gazebo. L’importante, ribadiscono gli organizzatori, è apparire bene davanti agli obiettivi delle telecamere. I sorrisi non abbondano, non solo per il pienone che non c’è stato, ma soprattutto per una vera propria faida interna che divide il Pd nel Centro Italia.

Il primo ad arrivare è il sindaco di Pesaro Matteo Ricci che, per quasi un’ora, gira sotto il palco per vociferare nell’orecchio dei presenti: «Sono il candidato di Bettini, aiutatemi». Anche se dell’immancabile Goffredo non c’è traccia. C’è, invece, la solita Covassi che “scarica” il ribelle Marco Tarquinio per il nuovo pupillo dell’uomo col cane e il bastone. Laureti, invece, viene lasciata in solitudine vicino alle transenne. Nessuno dei primi arrivati parlerà.

Chi ruba la scena è l’ex direttore di Avvenire, pacifista all’esterno e guerrafondaio interno. Tra i pochi a intervenire sul palco ammette come il suo «sia un partito faticoso». Un messaggio probabilmente indirizzato alla segretaria, che qualche ora prima lo aveva scaricato in tv, dicendo che «la sua posizione sulla Nato non era quella del partito».

Allo stesso modo, il suo linguaggio non usuale fa presa sul popolino. Se ne accorge Nicola Zingaretti, a cui non basta che Bonafoni distribuisca santini senza farsi vedere. Per fare il capogruppo a Bruxelles serve un risultato importante, ovvero che arrivi terzo: unica strada per diventare capogruppo dei socialisti a Bruxelles.

Ragione per cui interviene con la solita verve, ma dopo se la prende con i vari Boccia e Braga, che, a suo parere, si starebbero disimpegnando. Insomma, «la celebrazione della Costituzione» per i rossi di Elly è tutta al veleno. «La battaglia al premierato e all’autonomia» non è sufficiente a mettere da parte le ormai quotidiane faide tra mozioni.

Tra i pochi presenti l’unico argomento è: togli questo, metti quell’altro. Il tutto mentre i big della sinistra, vedi l’ex ministro Speranza, Orfini e D’Attorre, vengono lasciati fuori e col broncio dal recinto dei vip. Nell’area riservata, comunque, le cose non vanno meglio. Più di una Covassi o di un Ricci avrebbero voluto dire la propria.

Parlano, invece, prima della segretaria, solo Paiotti, Rondinelli, Insolera, Tarquinio e l’immancabile Zinga, applaudito, ma non troppo. Gli unici a essere entusiasti i pochi compagni della Cgil presenti quando Elly intona Bella Ciao e si dice fiera dell’«identità antifascista». Qualche vecchietto attento, comunque, replica: «Adesso Franceschini (altro grande assente di Testaccio) come la prende?». Nella piazza romana non c’è neanche il sindaco di Firenze Dario Nardella, suo pupillo per la futura segreteria.

Ci sono, invece, uomini e donne di Elly, che accortisi dell’indiscusso flop, provano a scambiare quello che venerdì doveva essere l’anti-Piazza del Popolo, poi divenuta l’altra 2 giugno, per un comizietto di quartiere.

(italiaoggi)

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