La voce degli ultrà
Dalle conversazioni del capo ufficio stampa di Lollobrigida, Paolo Signorelli, sono venute fuori le relazioni tra la destra istituzionale e quella eversiva.
Perché purtroppo in questo Paese il guardonismo è l’unico innesco dell’allarme democratico
Uno degli effetti perversi di quell’etica della spiata, che è il prodotto morale dop della stampa giudiziaria italiana, è di abituare i lettori a vedere solo le cose che possono guardare dal buco della serratura di un’inchiesta e dalle carte trafugate o miracolosamente semoventi, come quelle che «Repubblica ha potuto leggere» – recita umilmente il quotidiano Gedi – e che riportano le conversazioni tra Diabolik e il capo ufficio stampa del ministro Francesco Lollobrigida, Paolo Signorelli.
Ne vengono fuori, come è ovvio, due fascisti uniti dalla passione calcistica e da un superfascistico odio ultrà per gli ebrei e per qualunque nemico, in divisa o togato, degli onorevolissimi camerati in galera.
In un Paese normale, che l’Italia non è, dovrebbe stupire il fatto che serva una spiata pre-elettorale per “scoprire” le relazioni pericolose tra la destra istituzionale e quella eversiva e la provenienza di entrambe dal quel coté criminale e affaristico che rappresenta da decenni il cuore nero della Capitale, che è sotto gli occhi di tutti e di cui si possono ricostruire con precisione millimetrica genealogie familiari e ideologiche, anche in modo meno grossier di Repubblica, che mette ancora in un unico fascio tutti gli ex protagonisti dell’eversione anni Ottanta e che non vede, ad esempio, la differenza tra la parabola di Valerio Fioravanti e quella di Massimo Carminati, giacché non solo a destra, ma pure a sinistra un fascista è per sempre.
Visto però che il guardonismo è l’unico possibile innesco dell’indignazione civile e dell’allarme democratico, si continua a pensare che dalla velina giusta possa arrivare l’innesco di una miracolosa remuntada.
D’altra parte, la necessità di scoprire quello che è del tutto manifesto risponde all’esigenza di giustificare la spiegazione sbagliata che si continua a dare del successo politico-elettorale della nuova e vecchia fascisteria italiana: che vinca, per così dire, per errore altrui; perché dissimula nei doppiopetti e nei tailleur presidenziali e ministeriali la propria anima impresentabile; perché – insomma – fa finta di non essere quello che è.
Purtroppo, la spiegazione giusta di tutto questo successo è quella peggiore ed è che i fascisti vincono proprio perché sono fascisti e perché nell’Italia debilitata dalla pestilenza populista si è tornati coerentemente alla matrice della storia nazionale post-democratica.
Si pensi a come Giorgia Meloni si dissocia provocatoriamente dal paradigma anti-fascista del discorso politico democratico, badando bene a non sposare il ripudio finiano del “fascismo come male assoluto” e a costruire, al contrario, una sorta di “contro-Fiuggi”.
Si guardi a come nel vero campo largo della politica italiana, che affascia trasversalmente i nemici della società aperta e dell’Occidente, ci si batte in queste ultime ore prima del voto per raschiare il fondo del barile di quel voto naturaliter fascista, che è il “voto contro”.
Questo dovrebbe ampiamente dimostrare quanto vana sia l’illusione di strappare ai fascisti il voto della brava gente, essendo la stessa brava gente un’ipostasi fascista quant’altre mai, anche quando ha finito per coincidere con l’immagine del progressista collettivo in estasi davanti alla rivoluzione delle manette e ai formicai politici grillin-casaleggiani.
Mentre ieri Signorelli si autosospendeva dall’incarico ministeriale – passate le elezioni vedremo che succederà – Roberto Vannacci galvanizzava il proprio pubblico tornando a inneggiare alla Decima Mas, proprio per contendere alla destra quei voti fascisti delusi dall’istituzionalismo obbligato di Meloni.
L’Italia, oggi, è questa cosa qui e il successo dei nuovi e vecchi fascisti è il risultato di una degenerazione politica di cui i fascisti e post-fascisti di più originale ceppo, come il Ministro cognato, non sono i primi, né i soli responsabili.