Vita e dolore di Janek, polacco senza fissa dimora che scrive in italiano (ilfoglio.it)

di ANNALENA BENINI

LETTERE RUBATE

Arrivato in Italia nel 1992 non è più andato via.

Non ha una casa, ma ha molti lavori, conosce tante persone, sa attraversare Roma da un capo all’altro e in questi trent’anni l’ha fatto sempre

La mattina vado al reparto G-12 mi trovo in cella con due algerini, un tunisino, un altro africano di Madagascar e un italiano, non c’è neanche un fornello né caffè neanche ombra delle sigarette, niente, senza pensare compro tutto il necessario (qui non voglio passare per benefattore) ma il riconoscimento da parte loro mi mette in imbarazzo, non mi permettono di pulire la cella, né di lavare i piatti, io in cambio scrivo domande per loro e alla fine ottengo risultati.
Janek Gorczyca, “Storia di mia vita”
(Sellerio, 144 pp.)

Janek è arrivato in Italia nel 1992 non è più andato via. Non ha una casa, ma ha molti lavori, conosce tante persone, sa attraversare Roma da un capo all’altro e in questi trent’anni l’ha fatto sempre. Per amicizia, per amore, per lavoro, per dolore. Janek è polacco e ha scritto questo libro direttamente in italiano, con una lingua dura che rende la verità del racconto ancora più vera, più difficile e mai resa più sopportabile dalla dolcezza delle parole.

Eppure l’amore per Marta è anche dolce.

“Arrivo quasi al Natale 2016 senza bere. Di nuovo ci si mette Marta con le sue. Si crede di essere tutta sana ma così non è, e purtroppo pagherà con la sua sua vita e per me è una sconfitta e un dolore enorme”. Janek è curioso di tutto, a volte crede di sapere tutto ma ammette i suoi errori, ormai lo sa che basta un attimo per mandare tutto a rotoli. Basta una bottiglia del supermercato. Parla di destino di dolore. Questa non è una storia di alcolismo, è la storia di una vita difficile, in cui un uomo attraversa la città a piedi per andare dalla sua Marta in ospedale. E quando in ospedale c’è lui, con la mandibola fratturata, scappa ogni giorno per andare a trovare Marta e per fumare.

“Dopo viene dottoressa e mi dice che fuori fa 5 gradi e io sono vestito leggero. Rispondo che in Siberia, dove ho fatto contrabbando, erano -50 gradi. Tempo scaduto. Esco, nessuno si è accorto come e ovviamente fumo una sigaretta”. Janek fa coraggio agli altri, è spavaldo, orgoglioso della sua fatica e delle difficoltà, della sua memoria e dei suoi amici e di questo racconto.

“Per carattere mio quando mi annoio decido di cercare amici di vecchia data, e un pomeriggio vado a Montesacro, perché sapevo che c’è qualcuno che lì chiede l’elemosina al semaforo e anche sotto la chiesa. Infatti li trovo. Trovo tutti a piazza Primoli accampati di giorno nel parco e di notte dormono sotto il negozio ex Levis di fronte all’ex Gs (adesso Carrefour) sopra i cartoni”.
Janek si interroga sul senso di tutto in modo molto serio. “Sentimenti? Ne ho pochi. Carattere ribelle? Mancanza di senso di responsabilità? Più probabile voglia di vita un po’ sbandata”.

E’ un libro travolgente, che rimane incollato ai pensieri.

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