Kharkiv rivede la luce «Maggio è stato infernale ma con le armi americane abbiamo fermato i russi» (corriere.it)

Dal nostro inviato a Kharkiv Lorenzo Cremonesi

La svolta quando Biden ha permesso di colpire 
oltre il confine

Iniziamo questo reportage riferendo un’impressione rilevata già nelle prime ore del nostro arrivo in città sei giorni fa e quindi confermata col lavoro sul campo: anche questa volta le armi americane, specie i missili di lunga gittata, hanno impedito massacri e distruzioni maggiori. Ma la svolta è arrivata quando Joe Biden ha permesso che venissero colpite le rampe di lancio e le postazioni in territorio russo.

Qui lo dicono tutti, dal sindaco, alla pattuglia della polizia di fronte a una delle numerose università, ai dipendenti delle aziende bombardate, sino alle mamme che accompagnano i figli allo zoo municipale, dove nella primavera di due anni fa orsi, ippopotami e giraffe parevano destinati a morire di fronte al rullo compressore dei russi attestati nei quartieri settentrionali. «Maggio è stato un inferno, però dai primi di giugno si è tornati a vivere», è il commento più diffuso.

«Non serve essere grandi esperti di cose militari. Un conto è colpire i missili e droni russi quando sono già in aria e stanno planando vicini ai loro obiettivi sul nostro territorio: un’operazione difficile, costosa e soprattutto destinata a successi limitati, visto che i russi tirano contemporaneamente decine di proiettili di vario tipo.

E un altro è invece annientare le basi di lancio e i depositi in Russia. Sono stati sufficienti pochi attacchi con i missili americani per costringere i russi ad allontanarsi dalla linea del fronte. Risultato: a Kharkiv adesso le notti e i giorni sono tornati quasi tranquilli», spiegava due giorni fa Maxim Bilovsov, un ufficiale 37enne dell’intelligence incontrato nel parco vicino al municipio.

Ma la storia di Kharkiv è molto più che bombardamenti e strategie militari. Putin la voleva conquistare sin dai primissimi giorni della guerra. La visitammo a fine marzo 2022 che i suoi quasi due milioni di abitanti erano ridotti a meno di 300 mila disperati, nascosti nel metrò, resi insonni dal fragore dei combattimenti, con i palazzi dei quartieri come Saltivka ridotti ad ammassi di macerie e cornicioni pericolanti.

Ma già nell’ottobre dello stesso anno gli ucraini erano riusciti a ricacciare il nemico oltre il confine internazionale nella zona di Belgorod, che è solo una trentina di chilometri più a nord dell’area urbana. Da allora Kharkiv, pur se ferita, dolente, impoverita, aveva gradualmente ripreso a vivere. Considerata il vero centro culturale e scientifico dell’Ucraina (non a caso i sovietici la vollero capitale per pochi anni dopo la loro presa del potere), i suoi musei, teatri e le università erano rimasti chiusi per motivi di sicurezza.

Lo scorso gennaio era tornata a contare un milione e 300 mila abitanti. La situazione era però di nuovo peggiorata a fine aprile, quando Putin in persona dichiarò di volere mandare le truppe per creare una «zona cuscinetto» proprio di fronte a Kharkiv.

In città è ricomparso l’incubo bombe, che hanno ripreso a cadere anche sulle zone civili, mentre i russi sfondavano la linea del fronte con la prospettiva che in realtà avrebbero cercato di occupare tutto il possibile se gli ucraini non avessero resistito.

«Sono ritornati a echeggiare gli ululati delle sirene, anche venti volte al giorno. La gente è scappata nei rifugi, quasi tutti i miei amici e conoscenti sono sfollati verso Dnipro e Leopoli. Ho preso mia figlia Kira, di 8 anni, e siamo partite in auto. I nostri appartamenti abbandonati sono stati presi da coloro che avevano evacuato i villaggi appena occupati dai russi», racconta Anastasia Sabanova, che ha 28 anni e lavora per un’agenzia immobiliare.

I momenti più gravi sono stati il 19 maggio, quando un missile ha colpito un piccolo centro benessere uccidendo 6 persone. Il 23 maggio tre missili investivano la Factor-Druk, che è la più grande stamperia del Paese. «Sette nostri operai hanno perso la vita e 20 sono feriti», ci dice il 39enne Andrii Kalanchuk, che dirige il reparto più devastato dall’esplosione, mostrando i resti di migliaia di libri carbonizzati. Due giorni dopo tre missili hanno colpito i grandi magazzini della catena Epicenter: 20 morti e oltre 60 feriti.

Quindi, la svolta: da due settimane gli attacchi russi si sono diradati, le sirene suonano ancora, ma quasi sempre non seguono le esplosioni. Anche la distribuzione dell’energia elettrica si è fatta più regolare. Del domani non c’è certezza, ma anche oggi non si sono registrate vittime.

Il sindaco: «Ci servono più aiuti per continuare a difenderci»

KHARKIV «Veniamo da un mese di maggio dominato dalla paura delle bombe russe. I momenti peggiori si sono concentrati su 20 giorni, che hanno contato 76 raid causando enormi distruzioni e decine di vittime civili», ci dice il sindaco Igor Terekhov. Lo incontriamo per la quinta volta dall’inizio della guerra in un sotterraneo ben protetto.

A cosa miravano i russi?

«Incutere terrore, demotivare la resistenza della popolazione. Il momento più grave è stato l’attacco contro i grandi magazzini Epicenter. Era un sabato pomeriggio e per fortuna c’erano solo 120 persone. Ma abbiamo avuto 19 morti e 59 feriti, alcuni molti gravi. In tutta la città nel solo maggio abbiamo contato 39 morti e 239 feriti. Tra le vittime tanti bambini. Alla paura si è aggiunta la mancanza di elettricità, visto che i nemici avevano mirato alle centraline locali. Tuttora l’energia viene razionata, alcuni quartieri sono spesso al buio, altri meno».

Il quadro demografico?

«Abbiamo poco più della metà della popolazione di prima della guerra, che comprendeva decine di migliaia di studenti. Gli attacchi di maggio hanno innescato un nuovo esodo, compensato dall’arrivo di circa 12.000 sfollati dai villaggi nelle regioni nel nostro settore appena occupate dai russi o sotto tiro. Valutiamo di avere al momento circa un milione 300 mila abitanti, tra loro oltre 200 mila arrivati dalle zone occupate, ma il dato resta fluido, la gente scappa a ondate e torna di continuo».

Oggi è meglio di maggio?

«Sì, la situazione è migliorata, anche i raid russi sono nettamente diminuiti ma non sono cessati del tutto, i russi hanno tirato tre missili anche nell’ultima notte, che per fortuna non hanno causato danni. Le sirene riprendono a suonare molto spesso anche in queste ultime ore. Vorrei però aggiungere un’osservazione».

Cioè?

«Il pericolo dei bombardamenti resta molto alto a Kharkiv. Stiamo meglio, ma la situazione è precaria. Il fattore di successo è che adesso abbiamo l’autorizzazione americana a colpire le basi in Russia, specie le rampe dei missili S-300 e S-400, e questo sta salvando la città».

E se non aveste ottenuto la luce verde americana?

«Sarebbe stato catastrofico. Lo ripeto: tutto è cambiato in poche ore da quando i nostri militari hanno potuto colpire le basi sul territorio russo».

Su questo punto l’Europa è divisa. Nei due campi, Francia e Germania concordano con gli Usa, ma non l’Italia. Cosa ne pensa?

«Non intendo commentare le scelte del vostro governo, non è il mio ruolo. Come sindaco vorrei però ricordare che la nostra città in 20 giorni è stata in allarme per 475 ore e 55 minuti. Cosa avreste fatto voi in Italia al posto nostro? Venite a visitare Kharkiv: noi ci stiamo difendendo, necessitiamo del massimo aiuto per farlo e garantire le nostre comunità».

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