di Chiara Lalli
Passano ormai inosservate cose come il reato di aiuto al suicidio, vero lascito del ventennio: Alfredo rocco, 1930...
Se tutto è fascismo niente lo è.
Una risposta mancata o tardiva, un programma spostato, una parola sbagliata, stamattina non mi hai salutato, il cane non ha il guinzaglio, le pesche non sanno più di niente, non ti è piaciuto quel film necessario, non ti sei dichiarato antifascista, non stavi in piazza con la bandiera giusta, hai messo un cuoricino a quel fascista (per fortuna ora sono anonimi, troveremo un modo per rimediare a questa ennesima censura ovviamente fascista).
È tutto fascismo. Niente lo è. Ci ho pensato tutta la mattina, mercoledì, durante l’udienza della Corte costituzionale sull’articolo 580 del codice penale (o meglio su uno dei requisiti decisi dalla sentenza 242 della Corte nel 2019; tra poco ci torno). Codice Rocco, una delle cose per cui sarebbe lecito e giusto usare quella parola lì.
È un articolo che ha quasi cento anni e che punisce l’aiuto e l’istigazione al suicidio, e che mi riguarda perché rischio di essere condannata per aver accompagnato Massimiliano in Svizzera – insieme a Marco Cappato e a Felicetta Maltese.
Ma non è questo il punto, ora. Non che mi faccia piacere rischiare da 5 a 12 anni di carcere, ma ho scelto di accompagnare Massimiliano, ho scelto di fare quel poco che potevo fare per esaudire il suo desiderio semplice e difficilissimo (“voglio morire a casa mia senza soffrire”) e sapevo quali erano le conseguenze.
Il punto è: possibile che quando inciampiamo in qualcosa di fascista manco ce ne accorgiamo?
Siamo così distratti? Siamo così ipnotizzati da non capirlo?
E com’è possibile che quell’articolo sia rimasto lì per tutti questi anni? Cioè fino al 2019 e alla sentenza 242 della Corte costituzionale che lo ha in parte dichiarato incostituzionale, stabilendo dei requisiti di non punibilità tra cui il cosiddetto trattamento di sostegno vitale, che è un criterio non chiaro e che rischia di essere discriminatorio? E perché nessuno lo ha riformato prima?
Se ricordo bene Carlo Nordio aveva promesso di riformare il codice fascista – e questo articolo è fascista e sarebbe facile da riformare. E sarebbe anche doveroso, perché lì dentro c’è ancora una idea della nostra vita come un bene indisponibile, e una visione della nostra libertà molto angusta.
Non basterebbe, ovviamente, perché non è il solo residuo fascista e perché la giustizia, il carcere, le intercettazioni, la procedura penale, la separazione delle carriere sono tutte cose complicate e importanti. Però magari si potrebbe cominciare dalle cose semplici. E ci si potrebbe ricordare che non solo la procedura ma pure il codice penale avrebbe bisogno di qualche aggiustamento.
Poi c’è la convinzione che urlare dal divano “fascista!” o “vergogna!” serva a qualcosa. E certamente serve a non sudare e a sembrare buoni, ma dubito che possa avere altri effetti. Ma sul 580 non ho nemmeno sentito tanto strepitare, e nemmeno qualcuno strillare da un loggione “viva la Costituzione, abbasso il codice Rocco”. Oppure forse ero distratta io.
E c’è la dissoluzione delle gerarchie (non fasciste): se il saluto romano è grave quanto il bracciante morto, qualcosa non va. Quando “fascista” ha lo stesso significato della sciarpa della Roma, qualcosa non va. Quando si accusa qualcuno di avere il padre fascista, qualcosa non va.
Poi c’è forse un’altra questione: non abbiamo altre parole per condannare qualcosa? Perché evocare il fascismo sembra essere rimasta l’unica accusa possibile, pigra e sciatta. E, per carità, non voglio mica dire che sia una bella cosa il fascismo (dobbiamo davvero dirlo?), ma che si rischia l’effetto assuefazione e distrazione. Se tutto è fascismo niente lo è.