“La destra avanza”. “Il Partito Popolare Europeo stravince”.
“La vera onda nera deve ancora arrivare”.
Sono alcuni dei titoli dei giornali che raccontano l’esito delle elezioni europee di sabato 8 e domenica 9 giugno. I risultati erano attesi: la destra e l’estrema destra hanno incrementato i consensi, ma non hanno ottenuto la maggioranza assoluta al Parlamento Europeo.
I tre principali partiti di destra (il più moderato Partito Popolare Europeo, i Conservatori e Riformisti, di cui fa parte Fratelli d’Italia, e Identità e Democrazia, in cui rientra la Lega) hanno posizioni diverse su tante questioni ma sono tutti concordi su un punto: la necessità di dare una stretta alla migrazione in Europa, spingendo verso una politica sempre più restrittiva nei confronti delle persone in arrivo sul territorio dell’Unione. “Vogliamo fermare la migrazione incontrollata”, era lo slogan stampato in caratteri cubitali sui manifesti elettorali del Partito Popolare Europeo.
Già lo scorso 10 aprile il Parlamento Europeo ha votato l’adozione del nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, che sancisce una politica ancora più securitaria in tema di accoglienza. A poco più di un mese di distanza, il 15 maggio, ben 15 governi europei – tra cui l’Italia – hanno mandato una lettera congiunta alla Commissione Europea e alla sua responsabile per gli Affari interni, Ylva Johansson, per chiedere di sviluppare “nuove soluzioni per affrontare la migrazione irregolare in Europa”.
Nella lettera si legge che “le attuali sfide relative al sistema di asilo e migrazione dell’Ue, compreso il forte aumento degli arrivi irregolari, sono insostenibili” e che questo “ostacola la nostra capacità di fornire una migliore protezione e mezzi di sussistenza a un maggior numero di rifugiati”. Per questo, i governi firmatari chiedono alla Commissione di “identificare, elaborare e proporre nuovi modi e soluzioni per prevenire la migrazione irregolare in Europa”.
Viste queste premesse, è interessante porsi delle domande: di che numeri stiamo parlando? L’Europa è davvero in cima alla lista delle destinazioni preferite dai migranti? E in futuro l’Unione Europea sarà ancora impegnata a tenere fuori le persone, o dovrà forse occuparsi di come attrarle?
Un’Europa sempre più marginale nei flussi migratori globali
Quando parliamo di migrazioni, le traiettorie che immaginiamo hanno molti punti di partenza – l’Africa subsahariana, il Medio Oriente, il subcontinente indiano – ma un solo punto di arrivo: l’Europa. Raramente pensiamo invece a tutte quelle persone che, in cerca di una vita migliore, lasciano il loro paese per andare in posti che non sono l’Europa. Ma i dati ce lo dicono chiaramente: l’Unione Europea non è più la meta privilegiata da chi emigra.
Attualmente, a livello globale, secondo il World Migration Report 2024 dell’Organizzazione Mondiale per le Immigrazioni (OIM), appena un migrante su tre vive in Europa. La Banca Mondiale, nel World development report 2023, mette in evidenza quali sono i principali flussi migratori oggi: dal Messico verso gli Stati Uniti, dall’India agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita, dall’India e dalla Cina agli Stati Uniti, dal Kazakistan alla Russia (e viceversa), dal Bangladesh all’India, dalle Filippine agli Stati Uniti.
L’Europa non è nemmeno citata. Altri massicci spostamenti di persone sono legati a gravi situazioni di sfollamento forzato, per via di guerre e carestie: ci sono i movimenti dalla Siria alla Turchia, dal Venezuela alla Colombia, e dall’Ucraina alla Polonia.
Insomma, quello che emerge è che molti migranti e rifugiati non scelgono necessariamente l’Unione Europea come meta né si spostano in paesi ricchi: ad oggi solo il 40% emigra verso un paese dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione Economica e Sviluppo), mentre il 43% va verso paesi a basso e medio reddito e il 17% opta per uno dei paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC).
Queste traiettorie sono confermate anche dall’Atlante delle migrazioni, realizzato dalla stessa Commissione Europea. Alcuni dati emblematici: nel 2020 dal continente africano sono emigrate 40,6 milioni persone, di queste solo il 23% è venuto in Europa. I numeri sono ancora più impressionanti quando si analizza l’Asia: su 111 milioni di persone emigrate nel 2020, appena l’8% ha scelto l’Europa come destinazione.
“Non esiste una distinzione netta tra paesi di origine e paesi di destinazione dei migranti”, si legge nel report della Banca Mondiale. “La maggior parte dei paesi è entrambe le cose, allo stesso tempo”. Ad esempio, il Regno Unito ospita circa 3,5 milioni di immigrati, ma è anche l’origine di 4,7 milioni di emigranti.
La Nigeria ospita quasi 1,3 milioni di immigrati ed è il luogo di partenza di 1,7 milioni di emigranti. La Turchia ha una grande diaspora di migranti economici in Europa, ma ospita anche 3,5 milioni di rifugiati siriani e oltre 2 milioni di migranti interni. “Ogni società ha bisogno di una combinazione di politiche per affrontare al meglio la situazione sia delle persone che entrano sia di quelle che escono”, conclude il rapporto.
Le dimensioni della migrazione irregolare in Europa
Durante questa campagna elettorale per le elezioni europee, abbiamo spesso sentito parlare di ingressi illegali, lotta ai trafficanti, scafisti e organizzazioni criminali. Proviamo a dare una dimensione al fenomeno: quanti sono i migranti irregolari in Europa?
“Sebbene l’immigrazione irregolare sia spesso al centro dell’attenzione, in realtà gli ingressi irregolari rappresentano soltanto una piccola parte dell’immigrazione nell’UE”, scrive la Commissione Europea in un’analisi dei dati Eurostat sui migranti in Europa. Nel 2021, su un totale di 1 milione 133 mila persone immigrate nell’Unione Europea, solo 200mila erano irregolari, poco più del 6%. La percentuale era del 5% nel 2020 e del 4% nel 2019. Interessante è anche analizzare il numero dei rimpatri: nel 2022, a 431mila persone è stato ingiunto di lasciare l’Unione. Un aumento del 27% rispetto al 2021.
Per quanto riguarda i rifugiati, la Commissione scrive che “alla fine del 2021, meno del 10% di tutti i profughi e solo una piccola parte degli sfollati interni vivevano nell’UE”. Il numero aumenta in maniera cospicua nel 2022, a causa della guerra in Ucraina: alla fine dell’anno la percentuale dei richiedenti asilo nell’Unione superava il 20%. Il gruppo più numeroso è quello dei siriani, seguito dagli afghani e dai turchi. Una percentuale significativa dei richiedenti proviene da paesi esenti dall’obbligo del visto: l’Ucraina, ma anche il Venezuela, la Colombia, la Georgia e l’Albania.
Dai dati emerge che non tutti i paesi accolgono allo stesso modo: la maggior parte delle prime domande di asilo è presentata in Germania, che da sola è arrivata a contarne quasi 218mila nel 2022. Segue la Francia (137mila) la Spagna (116mila) e l’Austria (110mila). L’Italia invece ne ha ricevute a malapena 77mila.
Numeri piccoli, se si pensa che nel mondo sono 110 milioni le persone che sono state costrette a lasciare la propria casa a causa di guerre, persecuzioni, violenze o violazioni dei diritti umani. Il dato è riportato dall’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, e risale al 2023: di questi, più di 43 milioni sono bambini. E 62 milioni sono sfollati interni, ossia persone che hanno scelto di emigrare all’interno dello stesso paese. Anche qui emerge che il 75% dei rifugiati è ospitato in paesi a basso e medio reddito.
Un’Europa sempre più vecchia
Attenzione, però: è nei paesi ad alto reddito che le migrazioni potrebbero giocare un ruolo ancora più importante nel contrastare un declino demografico che sembra inesorabile. L’Unione Europea sta mettendo in atto una stretta sulle politiche di accoglienza, ma paradossalmente potrebbe trovarsi presto ad aver bisogno di migranti, per vari motivi.
Grazie al miglioramento delle condizioni di vita e al conseguente allungamento dell’aspettativa, infatti, il numero di anziani è in costante aumento. In parallelo, si registra un calo delle nascite: ecco perché in Europa, così come in altre regioni del nord del mondo, la popolazione sta sempre più invecchiando.
Come emerge dalle rilevazioni demografiche di Eurostat, all’inizio degli anni 2000 nell’Unione Europea la percentuale di persone con almeno 65 anni di età sul totale si aggirava intorno al 16%. Vent’anni dopo il valore risulta incrementato di 5 punti percentuali: nel 2023 gli anziani sono il 21,3%, più di 90 milioni di persone. Questa quota varia ampiamente da paese a paese: Italia e Portogallo sono al primo posto, entrambe con il 24% della popolazione anziana, seguiti da Bulgaria, Finlandia e Grecia, con quote superiori al 23%.
Una delle conseguenze più impattanti è l’aumento della spesa pubblica, in particolare i costi dei sistemi sanitari, ma anche dei servizi specifici per la terza età. Le spese per gli anziani oggi equivalgono a oltre il 10% del PIL europeo: come riporta Open Polis, l’Italia è il primo paese, con più di 266 miliardi di euro e un rapporto spesa per anziani-PIL che arriva al 13,7%. Nel frattempo, sono sempre meno le persone in età lavorativa: a rischio è la tenuta dell’intero sistema pensionistico.
Per questo, l’immigrazione di persone giovani e spesso con una maggiore propensione ad avere figli può in parte mitigare il declino della popolazione. Secondo sempre il World migration report 2024 dell’OIM, il contributo della migrazione internazionale nei paesi ad alto reddito ha portato a una crescita della popolazione di 80,5 milioni di persone tra il 2000 e il 2020, superando di fatto il saldo negativo tra nascite e decessi (meno 66,2 milioni di persone). “Nei prossimi decenni, la migrazione sarà l’unico motore della crescita demografica nei paesi ad alto reddito”, conclude il rapporto.
Respingere o attrarre migranti?
Il problema è sempre più urgente, anche perché non saremo più i soli ad avere bisogno di persone giovani e pronte a lavorare, che ci permettano di tenere in equilibrio i bilanci statali e il sistema pensionistico. Pensiamo alla Cina, un gigante che, dopo decenni di politiche del figlio unico, sembra avviato a un irreversibile inverno demografico: i dati dell’Ufficio nazionale statistico cinese mostrano che tra il 2022 e il 2023 la popolazione è calata di 2 milioni di persone, e secondo stime delle Nazioni Unite la popolazione cinese diminuirà di 109 milioni entro il 2050.
Lo stesso discorso vale per gli Stati Uniti, dove il Census Bureau ha registrato un aumento di oltre un terzo degli over 65 nell’ultimo decennio, la velocità maggiore degli ultimi 130 anni: gli anziani sono oggi il 16,8% della popolazione, e la loro quota continuerà ad aumentare con l’invecchiamento della generazione dei baby boomer. Eppure lo scorso 4 giugno il presidente Joe Biden ha firmato un decreto per restringere gli arrivi al confine con il Messico.
Il World migration report dell’OIM mostra che l’Europa e l’Asia sono i continenti che attualmente ospitano più migranti internazionali nel mondo, con rispettivamente circa 87 e 86 milioni di persone (dati 2020), pari al 61% del totale. Segue il Nord America, con quasi 59 milioni di migranti. Tuttavia, l’Asia ha registrato la crescita più significativa dal 2000 al 2020, pari al 74%.
Se confrontate con le dimensioni della popolazione di ciascuna regione, le quote di migranti internazionali nel 2020 erano più alte in Oceania, Nord America ed Europa, dove rappresentavano rispettivamente il 22%, il 16% e il 12% della popolazione totale: è qui che il fenomeno ha l’impatto maggiore.
“Nel 2050 Cina e India guideranno per distacco la classifica dei paesi più ricchi del mondo, davanti agli Stati Uniti e all’Unione Europea”, scrive il giornalista Gabriele Del Grande nel suo saggio Il secolo mobile, dove analizza la storia della migrazione in Europa negli ultimi cent’anni. “Indonesia, Brasile e Messico siederanno con loro al G7 e l’Unione africana festeggerà il suo terzo decennio ininterrotto di boom economico. Nel frattempo gli abitanti della Terra dagli 8 miliardi di oggi saranno arrivati a sfiorare i 10, per metà grazie all’esplosione demografica dei paesi a sud del Sahara nei quali, nel frattempo, saranno nati 1 miliardo di africani in più.
La Nigeria da sola avrà 400 milioni di cittadini, tanti quanti l’intera Ue. D’altronde la popolazione europea, sempre più anziana e in declino, continuerà a diminuire fino a non rappresentare che il 5% di quella mondiale. L’umanità del futuro, infatti, vivrà per metà in Asia e per un quarto in Africa”.
Nel mondo di domani, insomma, il peso demografico, economico e politico dell’Europa sarà decisamente ridimensionato. E così in futuro l’Unione Europea si potrebbe trovare non più con il problema di come tenere fuori i migranti, bensì di come attirarne abbastanza.