Questo non è un articolo su Assange, ma sull’invidia per il suo volo privato (linkiesta.it)

di

Biondo n° 5

Non mi importa nulla del tizio di Wikileaks, ma sono interessata alla raccolta fondi per pagargli il jet, una versione impegnata delle vacanze omaggiate alle derelitte di Instagram

«URGENTE: Appello d’emergenza per donazioni che coprano il gigantesco debito di 520mila dollari americani per un jet. Il viaggio di Julian verso la libertà ha un costo gigantesco: Julian sarà in debito di 520mila dollari americani che sarà obbligato a restituire al governo australiano per il volo charter VJ199. Non gli è stato permesso di prendere un volo di linea o di andare a Saipan e da lì in Australia. Ogni contributo grande o piccolo sarà apprezzatissimo».

Il tweet è di Stella Assange, e io sono talmente interessata alle vicende di Julian Assange che quando mi passa davanti la prima volta penso sia la figlia (è la moglie, ve lo preciso casomai foste anche voi digiuni come me di eroi postmoderni).

È un tweet non chiarissimo nella sintassi, dato che viene dopo svariati tweet in cui la signora spiega che bisogna stare attenti a che non uccidano Julian e quindi tenere d’occhio questo volo che si ferma qui e poi lì, e una delle fermate è appunto Saipan, che è pericolosissima in quanto territorio americano e li conosciamo tutti gli americani, sono quelli che tentavano di uccidere Mel Gibson in “Ipotesi di complotto”.

Comunque: ha preso l’aereo privato, e deve pagarlo. Ora, prima di proseguire vorrei chiarire a vuoto che questo non è un articolo su Julian Assange. Non me ne importa niente di Julian Assange, non me ne importa niente di coloro che lo idolatrano e di coloro che lo ritengono il male assoluto, non me ne importa nulla se sta in galera o ne esce, non m’importa se sia un aiutante di regimi o un eroe della trasparenza: non è questo il tema.

È un chiarimento a vuoto perché purtroppo l’umanità per sentirsi viva ha bisogno di schierarsi, e quindi prevedo per questo articolo un numero persino maggiore del solito di «Ah, e allora», segue dettaglio o tema che interessa al commentatore e di cui l’articolo non si occupa minimamente ma egli non può saperlo avendo dato solo una fugace occhiata al titolo (vogliamo che Assange pubblichi tutti i più segretissimi dossier acciocché possiamo leggerne solo i titoli).

Me ne dispiace particolarmente, oggi, giacché tanto non m’importa d’Assange quanto (tantissimo) m’importa degli aerei privati, unico argomento di cui parlo nella vita privata e di cui per una volta avrei parlato anche a voialtri, se non foste stati distratti da conversazioni su questioni minori quali la democrazia la libertà il sarcazzo.

L’insegnamento più importante che abbia mai ricevuto mi venne impartito, nella primavera dei miei 31 anni, dal primo romanzo di Plum Sykes, aristocratica inglese che all’epoca lavorava a Vogue America. (Sykes ha appena pubblicato “Wives like us” che è una delizia, ma ne parliamo un altro giorno, ché oggi devo concentrarmi sul crollo del lusso abbordabile).

In “Bergdorf blondes”, che in Italia venne pubblicato con l’agghiacciante titolo “Biondo n° 5” (e quello del titolo non era neanche il principale problema di traduzione del libro), l’io narrante spiegava l’unica regola che un’arrampicatrice sociale debba conoscere: prendi un aereo privato solo se sei sicurissima che non dovrai mai più prendere un volo di linea.

La frase mi colpì abbastanza da passare i successivi vent’anni a citarla, ma non aveva l’impatto pratico che ha oggi, oggi che non esiste più quella cosa che è più o meno esistita per quasi tutte le nostre vite adulte: quella di sentirsi ricchi a tariffe borghesi.

Chiunque mi frequenti sa che il mio tema di conversazione preferito è che ormai le prime classi sono dei carri bestiame, che se non puoi permetterti l’aereo privato è meglio stare a casa, e che ritengo Heathrow, l’aeroporto di Londra, con quei controlli che mescolano gente coi biglietti di prima classe e gente coi biglietti di terza, il più grande scandalo delle democrazie occidentali.

Chiunque mi frequenti sa che non lo stato sociale norvegese è il modello virtuoso che ritengo il mondo debba emulare, bensì Charles de Gaulle, l’aeroporto di Parigi dove se hai un biglietto da poco ricco non ti costringono a far la fila coi molto poveri, e dove nella sala d’attesa per poco ricchi ti trattano come fosse il Novecento, e non un secolo in cui la prima classe è a portata di massa e quindi è tale e quale alla terza. Il problema è che fuori dall’aeroporto perfetto c’è la più imperfetta delle città, cioè Parigi, e insomma questo disastro non si può risolvere e la regola resta: o aereo privato, o meglio stare a casa.

Exception culturelle parigina a parte, quell’illusione che si potesse vivere da ricchi pur non essendo multimilionari è finita per me una quindicina d’anni fa, quando sono entrata nella sala d’attesa di prima classe della British Airways all’aeroporto di Los Angeles e, là dove c’era sempre stato lo champagne, ho visto secchi di prosecco Mionetto.

Gli spettatori di “Succession” si dividono in quelli che pensano che la scena più atroce di sadismo genitoriale sia Logan che costringe Kendall a rinunciare alla scalata aziendale ricattandolo col morto; in quelli che trovano più traumatico il ceffone con cui leva un dente a Roman; e in noialtri che sappiamo che la vera crudeltà Logan la esercita quando dice a Connor che i due aerei privati di famiglia sono impegnati in altri tragitti, e lui deve prendere la miserabile prima classe su un ordinario volo di linea. Quando arriva, Connor racconta che a bordo i formaggi erano freddi di frigo, e noialtre arrampicatrici sociali rabbrividiamo.

A Milano hanno appena riaperto la sala d’attesa del Frecciarossa, dove ora che le élite sono massa non c’era mai posto per sedersi e quindi l’hanno ristrutturata. Nella nuova versione c’è una zona per noialtri con le tessere oro e platino e brillocchi, cordonata ma a vista, per cui i derelitti che stanno lì solo quel giorno e non hanno diritto permanente all’accesso possono notare che tu stai in una poltroncina più imbottita delle loro, e invidiarti meglio.

Non so se sia un cerotto sulla ferita del lusso ormai inesistente, o un tentativo disperato di alimentare una vera lotta di classe in un’epoca il cui proclama rivoluzionario è «tolgo il “segui”» se qualche derelitta va in vacanza a scrocco in posti le cui tariffe non potrebbe permettersi di pagare.

L’aereo privato di Assange è a scrocco come le vacanze delle derelitte di Instagram: se uno è appassionato di Wikileaks, non vedo perché non contribuire a pagarglielo. Qualche mese fa ho dato dei soldi a un critico cinematografico che ha avviato una raccolta fondi perché voleva andare a Cannes.

Era uno che leggevo sempre a vent’anni, e mi è sembrato un giusto compenso per tutte le cose che mi ha raccontato quando non sapevo niente (è, tra l’altro, colui che raccontò la scena di Ben Affleck di cui già ho scritto, quella «noi vi diamo le tartine e i cappellini e voi fate domande antipatiche»). Dare soldi a qualcuno che ci ha insegnato a leggere mi sembra un meccanismo più sano che darne a chi sciorina l’autobiografia più strappalacrime.

Il tweet di Stella Assange è corredato da una foto di Julian Assange che guarda pensoso fuori dal finestrino d’un aereo privato, come una qualunque moglie di calciatore che stia andando a Formentera. La foto è vecchia? È nuova? L’aereo è a noleggio? È in prestito? Che modello è?

Nello spettacolo teatrale che poi è diventato “Selective Outrage”, Chris Rock raccontava una cosa che ha tolto dalla versione di Netflix, cioè che lui è nato povero mentre le sue figlie, se le porti su un aereo privato, si lagnano se non è il modello di aereo che piace a loro. Che modello è l’aereo a scrocco di Assange? Zahra Rock ne scenderebbe disgustata?

E, soprattutto, come si pone Julian non rispetto alla libertà di stampa ma rispetto a quella recensione di qualche anno fa che diceva qualcosa tipo «il nuovo disco di Jay Z parla del problema di quando il comandante del tuo aereo privato ha dimenticato il limone per le ostriche»? Questo vorrei sapere, e voi invece volete parlarmi di Wikileaks. Quanto siete noiosi.

(AP/Lapresse)

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