La feroce banda Koch, il romanzo criminale della Roma occupata (ildubbio.news)

di Daniele Zaccaria

A 80 dalla liberazione della capitale, una targa 
ricorda le vittime dei “cacciatori di 
antifascisti”, 

torturate e uccise nei locali della “Pensione oltremare”, oggi sede del partito radicale

Una targa al quinto piano di via principe Amedeo nei locali che albergarono la lugubre “Pensione oltremare” della polizia fascista e che, per delle curiose capriole del destino, oggi ospitano la sede di Radio Radicale. A ottanta anni esatti dalla liberazione di Roma, i radicali, la comunità ebraica, l’ambasciata Usa e i discendenti di Pilo Albertelli e Tomaso Carini, che furono torturati e uccisi proprio nella Pensione oltremare, celebrano le vittime dell’occupazione tedesca e dei loro ferocissimi mazzieri italiani, la famigerata Banda Koch, terrore di ogni antifascista della capitale, una sinistra Gestapo de noantri.

E all’epoca Roma pullulava certo di militari del Reich ma anche di antifascisti, una delle città europee che diede più filo da torcere agli occupanti tedeschi. La Banda prende il nome dal repubblichino Pietro Koch, ex granatiere, che nel 1943 aderisce con entusiasmo al regime di Salò scalando rapidamente posizioni; ufficialmente si chiamavano Reparto Speciale di Polizia Repubblicana, ma non erano altro che banditi sanguinari.

Un po’ come la Glanton Gang, la banda di cacciatori di scalpi descritta dallo scrittore Cormac McCarthy in Meridiano di sangue, una trasposizione in chiave western delle atrocità commesse dai marine nel villaggi del Vietnam.

Il sadismo quasi caricaturale caratterizza tutto l’operato della banda, composta da una settantina di persone, tra cui alcune donne e il sacerdote Ildefonso Troya che amava eseguire canzoni napoletane al piano per coprire le urla dei prigionieri torturati; si racconta peraltro che fu grazie a una sua “soffiata” che venne arrestato il futuro presidente della repubblica Sandro Pertini.

Autorizzati direttamente da Herbert Kappler (il capo della Gestapo a Roma) a compiere ogni tipo di efferatezza, si sono fatti conoscere per gli assalti alle chiese, dove spesso si rifugiavano i dissidenti politici o gli ebrei, azione preclusa per motivi diplomatici ai tedeschi che in teoria non potevano violare l’extraterritorialità del Vaticano.

E fu all’interno di una chiesa che arrestarono Mario Caracciolo di Feroleto, ex generale dell’esercito regio che, dopo l’8 settembre 1943, provò invano a resistere con i suoi reparti alla discesa della Wehrmacht in Italia, Nel loro anno e mezzo di fervida attività, gli sgherri di Pietro Koch hanno seminato il panico tra gli oppositori del nazi-fascismo, ma anche una certa inquietudine tra i fascisti più tiepidi e moderati, al punto che avevano istituito un dossier su ogni gerarca per controllarne la fedeltà al credo mussoliniano.

Sono il romanzo criminale della Roma occupata, lo sono antropologicamente, come raccontano le raggelanti testimonianze delle loro torture. All’interno della Pensione Oltremare infatti il sangue schizzava a fiotti in un clima sadico e compiaciuto: uno dei metodi preferiti da Koch per ottenere informazioni era sollevare i prigionieri e sbatterli con forza contro le pareti, spaccando loro braccia, costole, gambe, mascelle e arcate dentali.

Poi gli strumenti “classici” del seviziatore: pinze, tenaglie, martelli e le immancabili scariche elettriche. A volte ti lasciavano agonizzare per ore in un angolo buio, altre volte ti finivano con un colpo di pistola alla tempia. C’era poi la tortura psicologica, come accadde a Luchino Visconti, arrestato dalla banda con l’accusa di aver dato rifugio a degli antifascisti.

Il regista non venne picchiato, non subì violenza fisica, ma fu condotto per otto volte in cinque giorni davanti a un finto plotone di esecuzione; gli sgherri di Koch non lo ritenevano granché pericoloso, volevano solo umiliarlo e distruggerlo mentalmente. Quando Roma viene liberata la banda si rifugia al nord, ma ormai i cacciatori sono diventati delle prede.

Pietro Koch finisce agli arresti il primo giugno del 1945 e, dopo un processo sommario, viene giustiziato a Roma tramite fucilazione quattro giorni dopo.

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