Quando un asterisco rimane senza voce (corriere.it)

di Aldo Grasso

Padiglione Italia

Ha provocato molti sfottò e critiche pungenti l’idea del Pd di ribattezzare la tradizionale «Festa dell’Unità» mettendo un asterisco finale al posto della «a» accentata.

Dal punto di vista linguistico è un totale non senso perché la gloriosa parola «Unità» non ha bisogno di alcun segno che opacizzi la sua desinenza. Oltretutto, in questo caso, l’asterisco svolge la sua funzione classica perché rimanda alla scritta completa: «Festa dell’Unità».

È vero che questa idea grafica (qui e altrove, l’asterisco è usato come simbolo di inclusione) ha esposto Elly Schlein a facili ironie, come se si trattasse del tappo di plastica di Salvini o della primula di Conte.

Purtroppo, una comunicazione che si rivolge principalmente alla propria «community» apre il fianco ai detrattori, ai Vannacci e ai grillonzi che non aspettano altro. Così la politica perde ogni carattere valoriale, si incanaglisce in una polemica da social e riesce a risolversi tutta intera in commedia dialettale.

Il problema, però, non è che Schlein abbia voluto ribadire i suoi concetti di fondo con i quali è diventata segretaria del Pd (inclusione, opzione donna, comunità Lgbtqia+, immigrazione, politiche sociali…), il problema è che non basta un asterisco, che è un segno privo di un corrispettivo suono reale, quando ci sarebbe bisogno di far sentire la propria voce, «forte e chiara».

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