Il referendum sull’autonomia differenziata che serve solo a Landini e Salvini (linkiesta.it)

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Consulta, salvaci tu

L’iniziativa del campo largo (meno Azione) è politicamente ipocrita e suicida e finirà per favorire Salvini e Meloni.

Per raggiungere il quorum servirebbero 25,6 milioni di voti, più della somma di tutti i voti raccolti alle elezioni europee da tutti i partiti presenti sulla scheda. Non servirà a battere la destra, ma a chiarire chi comanda a sinistra

Marco Pannella irrideva spesso la «sinistra grande solo nei funerali», alludendo alla grandiosità delle esequie dei cari leader e anche all’abitudine di battezzare fallimenti politici clamorosi come prove di eroismo militante.

In realtà, in ossequio alla logica della doppia verità, le fughe in avanti dei comunisti non erano solo prove di fanatismo ideologico, ma anche tentativi di imporre un’egemonia culturale e una sostanziale cattività politica alle componenti della sinistra più riluttanti sia a cercare la bella morte, sia a sposare un programma massimalista.

La «sinistra grande solo nei funerali» è tornata in grande stile con il referendum contro l’autonomia differenziata, che è un’iniziativa politicamente ipocrita e suicida.

Ipocrita perché rimuove, con un’operazione da enciclopedia sovietica, le responsabilità dell’intero mondo progressista in questo sbilenco federalismo all’italiana, non solo per averne approvata nel 2001 la matrice costituzionale (articolo 116, comma 3 della Carta), ma anche per averlo fino al 2022 sostenuto come possibile frontiera del riformismo neo-regionalista.

Suicida perché tra i vari modi per fermare l’autonomia differenziata, quello del referendum abrogativo è il peggiore e più favorevole a Salvini e Meloni. Per raggiungere il quorum servirebbero 25,6 milioni di voti, più del doppio di quelli di cui le forze promotrici dispongono sulla carta, più della somma di tutti i voti raccolti alle elezioni europee da tutti i partiti presenti sulla scheda l’8 e 9 giugno scorso.

Si sa da decenni che i referendum non sono più uno strumento agibile, se non per condurre campagne politiche, che non hanno alcun immediato obiettivo di diritto o di riforma, visto che il meccanismo del quorum fa sì che basti sommare una piccola percentuale di contrari e astensionisti attivi ai milioni di italiani – ormai più di un terzo della popolazione – che non vota comunque mai per vanificare l’esito della consultazione.

Allora perché si lancia un referendum per cui si sa per certo che non andrà a votare più di un italiano su tre? Perché la Cgil ha voluto imporre la linea dura per affermare la propria primazia politica, il Pd non si è voluto fare scavalcare a sinistra e tutti i partiti del Campo Largo hanno dovuto dare dimostrazione di unità, cioè prova di fedeltà ai titolari della Ditta, che è tornata a spadroneggiare nelle stanze del Nazareno.

Il risultato è che i favorevoli alla legge sull’autonomia differenziata il prossimo anno festeggeranno una facile vittoria, la sinistra celebrerà una eroica sconfitta e la Cgil, Conte e le sinistre-sinistre varie continueranno a tenere in scacco i riformisti immaginari del progressismo italiano.

Insomma, la ragione per cui il referendum è stato promosso non è quella di vincerlo: non serve a battere la destra, ma a chiarire chi comanda a sinistra (cioè Landini, che il referendum poteva pure farselo da solo, come quello sul Jobs Act), anche al costo di una preventivabilissima sconfitta.

C’è da sperare che a salvare la pelle dell’opposizione dal tatticismo suicidario dei suoi leader ci pensi la Consulta, dichiarando inammissibile il referendum sulla base dei suoi antichi (e discutibili) principi giurisprudenziali, secondo cui una legge di attuazione di una norma costituzionale, essendo “costituzionalmente necessaria”, non è referendabile alla stregua di una legge ordinaria.

Tra le possibili cause di inammissibilità preconfezionate dalla maggioranza, c’è anche il fatto che il ddl Calderoli era un cosiddetto “collegato” alla legge di bilancio e dunque, come la legge a cui era collegato, non sarebbe sottoponibile a referendum, in base all’articolo 75 della Costituzione. Chissà che anche molti dei promotori non confidino in questa possibilità.

(italiaoggi.it)

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