Caporalanghe (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

E così tra i filari delle Langhe, uno dei luoghi più civili e aggraziati del mondo, i braccianti clandestini vengono presi a bastonate dai caporali perché osano ribellarsi alla loro condizione di schiavi (orari e alloggi da bestie, paghe da fame).

Il tempo dell’ipocrisia è definitivamente scaduto. Avete visto le immagini diffuse dalla polizia?

Una spremuta di disumanità che chiama in causa tutti, produttori e consumatori: in nome delle loro maestà il Guadagno (per i primi) e il Prezzo (per i secondi) abbiamo smesso di farci troppe domande. Ma quelle scene immonde, che speravamo relegate a secoli lontani della nostra storia, interrogano anche i formatori dell’opinione pubblica, in particolare gli ambienti di sinistra giustamente sensibili al destino dei migranti, ma solo finché rischiano la pelle in mare.

Appena toccano terra, su quei disgraziati cala il sipario del disinteresse. Chi ha urlato a squarciagola per strapparli alla morte li consegna in silenzio a una vita di sopraffazioni e di stenti.

C’è voluto il sacrificio del bracciante amputato di Latina per accendere la luce su un fenomeno che non sembra ispirare artisti e intellettuali, come se lo sfruttamento fosse materia meno letteraria rispetto al naufragio. Dickens e Victor Hugo la pensavano diversamente e forse oggi ci inviterebbero a essere un po’ meno ipocriti: per sentirsi umani non basta salvare altri esseri umani. Poi bisogna dar loro qualcosa che assomigli a un’esistenza umana.

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