Ddl Nordio, la verità di Luciano Violante: “L’abuso d’ufficio l’avrei tolto prima”

di Edoardo Sirignano

«È difficile dare un giudizio complessivo su 
tutto il ddl Nordio. 

Bisogna distinguere da norma a norma. Sbagliato, però, criticare l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Chi conosce i tribunali, sa bene, che i correttivi da effettuare sono altri». A dirlo l’ex presidente della Camera Luciano Violante.

Giusto abrogare l’abuso d’ufficio?

«A mio parere, bisognava eliminarlo da tempo. Spesso si commette un errore di impostazione di fondo. L’accertamento di legalità sulla Pubblica Amministrazione spetta alle autorità amministrative, non ai magistrati. Questi, al contrario, dovrebbero solo cercare di chi è la responsabilità, quando hanno una notizia di reato sul tavolo. C’è, poi, un altro aspetto che dimostra come questa scelta del governo vada nella giusta direzione».

Quale?

«Il numero enorme di assoluzioni per tale reato dimostra che, talvolta, è usato come una sorta di leva per entrare all’interno di circuiti privati o pubblici riservati, per acquisire il massimo di informazioni possibili per sostenere che può esserci stata un’infrazione. Il giudice, però, non dovrebbe accertarsi “se per caso è stato commesso un reato”, ma dovrebbe agire una volta che ha la notizia di reato. Questa la ragione per cui, sin dal principio, ho ritenuto giusto abolirlo. Più volte si è cercato di manipolarlo, ma non si è mai riusciti a trovare una soluzione giusta affinché si potesse evitare che l’accusa non impattasse sulla reputazione delle persone. Dopo cinque anni vieni assolto, ma nessuno se ne accorge. E non si tiene conto che in tutti gli altri Paesi l’azione penale è discrezionale e quindi si procede solo in pochi casi, mentre da noi è obbligatoria e si procede sempre».

Quando si affrontano certe tematiche bisognerebbe andare oltre i colori politici?

«Se una persona deve presentarsi davanti a tre giudici che gli spiegheranno perché c’è un provvedimento restrittivo nei suoi confronti, c’è qualcosa che non funziona. Tenga presente che in base a una sentenza della Corte, il giudice intervenuto in una fase del processo non può intervenire in quelle successive. Questa riforma, su alcuni punti, sembra essere stata fatta da chi non conosce un sistema giudiziario, un tribunale».

Che idea si è fatto, invece, sulla stretta relativa alle intercettazioni?

«Non siamo di fronte una legge bavaglio, ma si punta a tutelare i cosiddetti “coinvolti”, quella categoria scoperta da qualche organo di informazione, comprendente coloro che non sono imputati, ne’ indiziati, ma i cui nomi si fanno nel corso del processo. Basta, purtroppo, un titolo su un giornale per renderti partecipe di un reato. Sapere che queste figure possano scomparire presto è solo positivo. Siamo di fronte a un vero e proprio abuso da parte del giornalismo di riporto, quello che prende i pezzi che gli passano le Procure, pubblicandoli come li riceve. Perché trascrivere il contenuto di un’intercettazione, se non serve a dire quello che è successo?».

Per il ministro Nordio tale cambiamento è una mano tesa agli amministratori, che non avranno più timore quando firmeranno un atto. È d’accordo?

«Lo è anche per i funzionari, per chiunque lavora in un ente pubblico. In Italia, purtroppo, basta una denuncia anonima per far scattare un’indagine».

Altra priorità per la politica è la separazione delle carriere. È davvero così urgente?

«È una sciocchezza. Le carriere sono già separate. Stiamo parlando di un problema paleontologico, che si poneva l’avvocatura penalistica trenta anni fa. Oggi non ha ragione di esistere. Tenga presente che circa il 45% delle richieste dei j Pm viene respinta dai giudici. Se ci fosse una subalternità ai Pm non avremmo avuto una percentuale così elevata. C’è, poi, la questione dell’esperienza professionale, che dividendo le carriere verrebbe mortificata. In Francia e in Germania aver fatto prima il Pm e poi il giudice o viceversa, viene considerato elemento positivo. Voglio, infine, aggiungere un altro dato che riguarda i diritti».

Quale?

«Riunire i Pm in un’unica corporazione, autogestita, con tutti i poteri che hanno, è un pericolo per la libertà dei cittadini. Altro che norma garantista».

Che idea si è fatto, invece, rispetto al caso Toti?

«Prima di parlare bisogna conoscere gli atti, i particolari delle singole vicende. Non posso, dunque, dire niente di rilevante. L’unica certezza è che stiamo parlando di un periodo molto lungo per degli arresti domiciliari, a meno che non si voglia indurre Toti a farlo dimettere da presidente della Regione. Non so bene, se è questo l’intento. Se è così, però, dovrebbe essere chiaramente espresso dall’autorità giudiziaria, bisognerebbe spiegarlo. Altrimenti è chiaro che ci sono dubbi».

Quando parliamo di giustizia, controversia all’ordine del giorno è quello sulle correnti della magistratura. Come superarle?

«Esprimere opinioni all’interno di una componente associata non è un problema. Lo è, invece, quando fai carriera solo perché sei iscritto a una corrente. La funzione delle correnti è anomala quando vogliono determinare chi deve fare il procuratore a Roma, a Vicenza o a Taranto. Se contribuiscono al dibattito, al contrario, è cosa buona e giusta».

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