La leadership di Trump nasce dall’odio e non dal consenso, la retorica del difensore del popolo che appartiene all’élite (ilriformista.it)

di Paolo Guzzanti

L'ascensore politico della popolarità

La sua era del comando è nata con il mestiere ereditato dal padre di grande costruttore passando poi alla tv.

Ha imparato a farsi riconoscere dai suoi simili presentandosi come il loro messia. E c’è riuscito. Vi ricorda qualcuno?

Il discorso da leggere alla convention di Milwaukee era pronto, ma dopo l’attentato per farlo fuori, è tutto da buttare. E ce ne vuole uno radicalmente diverso. I consiglieri come Chris LaCivita e Danielle Alvarez hanno passato la domenica a discutere di Trump senza incontrare resistenza: “Dovevo cambiare il mio discorso e riscriverlo”, ha detto il candidato repubblicano, “non posso permettere che un attentatore detti la linea ai repubblicani”. In breve: il testo già pronto prima della sparatoria, era molto aggressivo.

La leadership si misura dall’odio

Ora il clima è cambiato, il Presidente Joe Biden viene a portare la sua solidarietà al campo e al leader nemico e anche il messaggio politico cambia perché dobbiamo tutti ragionare sul significato dell’attentato, che muterà la storia degli Stati Uniti e del mondo.

Il Grand Old Party ha reagito in modo unitario e dunque non è più tempo di divisioni. È tempo non di battaglia, ma di raccolta. Tutta l’America riconosce sui media che questo è un comportamento da leader. La leadership si misura più dall’odio che suscita, che dal consenso: Donald Trump è stato odiato per la sua retorica e la sua spavalda odiosità.

Il suo modello di base, come strumento di comunicazione, è quello di un capo che si ribella contro le forze oscure sempre impegnatissime a sottomettere la volontà del popolo. Fra il popolo – ammantato di candore – e la satanica setta dei complottisti, chi si erge come protettore degli onesti, se non Donald J. Trump?

Il difensore del popolo che appartiene all’élite

La prima volta che lo vidi fu all’interno della Trump Tower di New York, più o meno trent’anni fa. Mostrava ad alcuni amici un’opera di architettura inebriante per la sua follia. Ma ciò che colpiva il mio perbenismo europeo era una statua. Fra cascate su marmo sanguigno e turisti incantati al bistrò fin de siècle deliziato da un quartetto d’archi, dominava una gigantesca statua policroma come quelle cretesi di Knosso.

Ma niente minotauri: la statua nella Trump Tower era quel personaggio che in Italia si chiama Paperon de’ Paperoni, ma che nel mondo americano era ed è il terribile mister Scrooge, dei racconti di Natale di Charles Dickens, benché in forma papera. Ci si specchiava e aveva senso: Trump ha creato la versione politica del difensore del popolo benché appartenente all’élite dei ricchissimi.

Trump e Berlusconi, l’ascensore politico della popolarità

La leadership di Donald Trump è nata con il mestiere ereditato dal padre di grande costruttore edile e venditore di appartamenti di lusso per diventare poi l’anchorman della sua personale televisione. Ha imparato a farsi riconoscere dai suoi affini presentandosi come il loro messia. E c’è riuscito.

Un percorso non troppo diverso da quello di Silvio Berlusconi costruttore edile e poi inventore della televisione di condominio che diventerà Canale 5. Gli stessi strumenti per raggiungere il popolo attraverso la popolarità e poi come un ascensore politico.

In Europa ci sentiamo in dovere di dare forti segnali di nausea soltanto a sentire il suo nome. E pensare che sia il più perfetto farabutto opportunista di destra, nonché stupratore, evasore fiscale, mentitore.

Leader carismatico e leader normale

Un automatismo. Non soltanto in Italia in Europa perché anche in America si è formato il partito della reazione immediata contro il personaggio Trump. Due partiti: uno che lo odia e se può gli spara, che si è strutturato anche nella opposta fazione nel popolo Maga – Make America Great Again – di Trump.

Vederlo in azione permette di percepire la differenza fra un leader carismatico che qualsiasi cosa faccia e dica suscita un’impennata congiunta di odio e di amore, è un politico normale, di laboriosa fattura col suo elettorato che non funziona come il nostro perché in America, come in Inghilterra, ogni rappresentante si rivolge alla sua constituency come un Lord protettore ai cittadini che non sanno di essere continuamente derubati dai cospiratori che vivono nel Deep State, fra le ruote dentate della burocrazia ladra della politica in affitto e di tutte le altre piaghe di cui in ogni paese il popolo si lamenta perché si sarebbe lamentato in ogni caso.

Un giorno uno dei miei figli che vivono in Florida e che ogni tanto vanno a giocare a calcio nel castello incantato di Mar-A-Lago, mi mandò una clip in cui con un paio di amici giocava con un pallone da calcio. E poi arriva mister Trump come una gigantesca soubrette scendendo i gradini di una scala mobile. Non chiese che diavolo ci facessero quei ragazzi in casa sua e cominciò a prendere a calci il pallone perché percepiva una collettività, per piccola che fosse, che richiedeva calci al pallone, sorriso sulla bocca, indulgenza e autorità.

Il pugno chiuso

Otto anni fa pensavo che se non fossi stato un europeo abituato ad una paura fottuta dei russi e dei loro carri armati, e fossi stato un americano fiero e ingenuo come l’America rurale (quella in cui le mamme insegnano ai figli come si smonta e si pulisce una pistola) non mi sarebbe dispiaciuto quel tizio tanto prepotente quanto gentile ma sempre concentrato su di sé e sul tema del popolo tradito dagli interessi più sudici.

La scena che avrete già visto mille volte dopo l’attentato perpetrato da un ragazzo di vent’anni sdraiato sul tetto di un capannone insieme agli sniper del secret service, è un manifesto identitario come la celebre foto dei soldati di Iwo Jima che innalzano la bandiera a Stelle e strisce nel titanico sforzo della battaglia vinta.

Trump ha lottato a mani nude con gli uomini della sicurezza perché si doveva infilare le scarpe perse nella caduta, trasformando sé stesso in un’immagine iconica. Sono stati i minuti e secondi durante i quali il leader repubblicano ha giocato d’istinto come un sottomarino in emersione, con il suo volto rigato dal sangue, gli occhi della sofferenza tisica e il pugno chiuso che da sabato sera non è più un saluto di sinistra o delle Black Panthers, ma il pugno chiuso del popolo di Trump.

Un comportamento di estrema destra? Difficile esserne sicuri perché l’estrema destra repubblicana conservatrice e gelosa dei suoi privilegi non è più proprietaria del Grand Old Party creato da Abraham Lincoln per mettere in un angolo gli schiavisti del partito democratico, cosa che non sempre ricordiamo.

“Ho cambiato idea – ha detto al New York Post – e ho buttato nel cestino il discorso preparato per la convenzione di Milwaukee, perché dopo l’attentato tutto è cambiato. Il mio era un vecchio modello di discorso su truffati e truffatori. Ora dirò che cosa significa sentire la morte che fischia a un millimetro dal tuo cranio. E dirò anche chi sarà il mio candidato vicepresidente”. Tre mesi e mezzo per capire se la sua leadership catturerà l’America, cosa tutt’altro che scontata perché la memoria è più corta della famosa coperta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *