L’assurda storia di Maysoon Majidi: scappata dal regime in Iran, in prigione in Italia con l’accusa di essere una scafista (lespresso.it)

di Chiara Sgreccia

DIRITTI VIOLATI

L’assurda storia di Maysoon Majidi: scappata dal regime in Iran, in prigione in Italia con l’accusa di essere una scafista

È fuggita dalla repressione del regime di Teheran: ma la sua storia non è un’eccezione.

Nella sua stessa condizione c’è anche Marian Jamali. «La caccia ai trafficanti in tutto il globo terracqueo colpisce i più fragili»

«Che ci faccio io qui? Ogni volta che, attaccata alla bombola di ossigeno, lotto per la sopravvivenza affrontando gli attacchi di panico. Ogni volta che perdo i sensi e cado per terra ma cerco di rimanere vigile mentre mi dico che sono dalla parte della ragione e non devo farmi ingannare dall’effetto dei tranquillanti, è questa la domanda che si ripete continuamente nella mia testa: che ci faccio qui? Perché sono venuta qui?».

A chiederselo è Maysoon Majidi, iraniana di 27 anni, attivista per i diritti delle donne, artista e regista, scappata dalla Repubblica islamica per salvarsi la vita: per non finire in carcere o condannata a morte come altre 823 persone nel 2023. Da quando il governo iraniano ha cercato di spegnere con la violenza l’ondata di proteste guidate dal movimento “Donna, Vita, Libertà”, scoppiata dopo la morte di Mahsa Amini, uccisa per aver indossato male l’hijab a settembre del 2022.

Majidi ha lasciato la sua casa e si è rifugiata prima nel Kurdistan iracheno, poi ha provato a raggiungere l’Europa. È sbarcata a Crotone nel dicembre del 2023. E dal 31 di quel mese è in carcere in Calabria, con l’accusa di essere una «scafista».

Perché le testimonianze di due persone in viaggio sulla sua stessa imbarcazione, poi ritrattate quando i familiari di Majidi e la stampa hanno chiesto spiegazioni, sono state considerate così attendibili (nonostante gli evidenti errori di traduzione, nonostante le versioni siano poi state modificate) da rinchiudere in prigione una donna che lascia tutto per fuggire dalla violenza di un regime che l’Occidente, a parole, condanna. Proprio nel Paese che credeva le avrebbe finalmente garantito libertà e giustizia.

«Quando sbarca a Crotone pensa di essere salva, invece inizia il suo incubo. Viene portata nella prigione prima di Castrovillari, poi spostata a Reggio Calabria in cui è detenuta ancora oggi con l’accusa di essere il capitano dell’imbarcazione su cui viaggiava. Il prossimo 24 luglio ci sarà la prima udienza del processo», spiega l’onorevole Laura Boldrini, presidente del Comitato diritti umani della Camera, che ha avuto con Majidi un colloquio di oltre tre ore: «È dimagrita almeno di 15 chili. È impressionante la differenza tra i video di Maysoon prima della detenzione e come sta adesso».

Boldrini insieme a Marco Grimaldi di Alleanza Verdi e Sinistra e Luigi Manconi, presidente di A buon diritto onlus, ha indetto una conferenza stampa alla camera il 18 luglio, con l’obiettivo di portare all’attenzione dell’opinione pubblica quello che sta succedendo non solo a Maysoon Majidi ma a tanti altri che, come loro, scappano da violenza, guerre, catastrofi climatiche, disposti a mettere in pericolo la vita pur di sperare nella salvezza, e finiscono invece privati della loro libertà proprio in quei Paesi che, come l’Italia, dovrebbero garantire la tutela dei diritti della persona per Costituzione.

A essere nella stessa situazione di Majidi, infatti c’è anche Marian Jamali, anche lei iraniana, 29 anni, anche lei scappata dal suo paese per sfuggire alla repressione del regime e accusata di essere scafista dopo l’arrivo in Italia a Roccella Ionica il 26 ottobre 2023.

È finita in carcere, «senza capire neanche perché. Hanno cercato di spiegarle l’accaduto alcune compagne di cella a gesti. Majidi è stata accusata di essere alla guida dell’imbarcazione dagli stessi uomini che aveva denunciato per molestie sessuali», spiega Parisa Nazari, attivista del movimento “Donna Vita, Libertà” durante la conferenza stampa, con la voce che trema come quella di chi sta per commuoversi: «Marjan in prigione ha anche tentato il suicidio». Adesso è agli arresti domiciliari – così si è potuta ricongiungere con il figlio – in attesa che anche il suo processo abbia inizio.

«In tutti noi il dolore prevale sulla rabbia. Insieme all’indignazione per una situazione gravemente iniqua: un caso umanitario in cui a essere violati non sono i diritti della persona ma anche la speranza di due giovani donne di trovare in Italia scampo e tutela. Pensavano che nostro fosse uno Stato di diritto a cui appellarsi», spiega Manconi: «Così non è stato a causa degli articoli 12  e 12 bis del testo unico sull’immigrazione. Articoli che hanno contorni talmente approssimativi e mal fermi da poter essere manovrati: la norma che vorrebbe contrastare l’immigrazione irregolare diventa una mazza per colpire chi rischia la vita per raggiungere l’Italia», ribadisce, sottolineando l’incongruenza delle affermazioni della premier Giorgia Meloni – che durante la conferenza stampa indetta dopo la strage di Cutro a febbraio del 2023 aveva detto di voler inseguire «gli scafisti in tutto il globo terracqueo» – con la realtà dei fatti: una strategia che colpisce nel mucchio più che i colpevoli, «con il risultato che i trafficanti non vengono colpiti mentre le vittime dei trafficanti perseguitate», conclude Manconi.

«Sono venuta in Europa con la speranza di trovare una nuova casa e una nuova vita in una nazione in cui i diritti umani, libertà e dignità dell’individuo hanno valore. Vi prego di non lasciarmi sola. La vostra azione può fare la differenza tra speranza e disperazione, tra libertà e prigionia», scrive infatti Maysoon nella lettera inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Mi rivolgo a Lei e al popolo italiano con la speranza che la mia voce venga ascoltata e che la mia situazione venga risolta con giustizia e umanità».

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