di Mario Lavia
Male la prima
I dem italiani (eccetto Picierno e Gualmini) hanno votato in maniera differente rispetto ai partiti socialisti europei su un punto specifico della risoluzione che permette a Kyjiv l’uso di armi occidentali contro obiettivi militari in territorio russo (poi comunque approvato nel testo finale).
L’ala liberal del partito avrebbe potuto far sentire la voce della sinistra occidentale anche in Italia, invece si è persa nei soliti giochetti
Alla prima votazione della nuova legislatura europea i deputati del Partito democratico hanno votato in modo diverso dai socialisti spagnoli, francesi, tedeschi, e su un punto molto significativo: quello in cui si afferma che il Parlamento europeo «sostiene fermamente l’eliminazione delle restrizioni all’uso dei sistemi di armi occidentali forniti all’Ucraina contro obiettivi militari sul territorio russo».
Su questo punto (articolo 5) gli europarlamentari del Pd hanno votato contro con le eccezioni di Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini che si sono astenute, coerentemente con la loro storia.
Poi il Pd (tranne Marco Tarquinio e Cecilia Strada, of course) ha ovviamente votato la risoluzione nel suo complesso, passata a larghissima maggioranza, nella quale si conferma il pieno sostegno all’Ucraina e si formula anche la condanna di Viktor Orbán per la sua non concordata “missione” al Cremlino: dunque i dem hanno finito per approvare anche il punto sul quale avevano votato contro.
Scontate le divisioni nella destra, ma ormai è un classico, con i leghisti su posizioni apertamente anti-ucraine e Fratelli d’Italia e Forza Italia favorevoli al documento. Da notare infine (a proposito di campo largo) che Movimento 5 stelle e Sinistra hanno votato contro: come i “Patrioti” e gli altri amici di Putin.
Ma tornando al Pd, ci sono alcuni questioni su cui riflettere. La prima, lo si è accennato, riguarda l’isolamento all’interno del gruppo dei Socialisti e democratici. Il documento era stato messo a punto con il concorso dalla capogruppo di S&D, la spagnola Iratxe García Pérez, un testo che secondo i dem italiani era «troppo netto» sul punto più importante, quello relativo alle possibilità di colpire le postazioni in territorio russo da cui partono le offensive contro le città ucraine. Di solito la nettezza non è un difetto, anzi. Ma in ogni caso è meglio privilegiare la sostanza. E infatti il punto vero è questo.
Nella riunione del gruppo europeo di due sere fa e in quella italiana di ieri, più d’uno ha osservato che colpire il territorio russo provocherebbe automaticamente l’allargamento del conflitto. Lucia Annunziata è stata particolarmente impegnata a sostenere questa posizione che è poi anche la linea degli schleiniani (Ruotolo, Corrado, Laureti eccetera).
A quanto viene riferito, nella riunione dell’eurogruppo di martedì sera, il socialdemocratico francese Raphäel Glucksmann, figura emergente nel suo Paese, avrebbe duramente polemizzato con i dem italiani.
Nella riunione di questi ultimi, ieri, c’è stata anche un po’ di tensione – anche qualche «non diciamo cazzate» – che Brando Benifei, tuttora capigruppo anche se per poco, ha cercato di comporre. E qui c’è un altro, e più serio, motivo di riflessione: ma i riformisti, che peraltro non sono pochi, che fine hanno fatto?
Perché hanno lasciato che la delegazione del Pd votasse contro la possibilità di colpire le basi russe (così come chiedono Stati Uniti e Nato e, come si è visto, anche i socialisti europei – tranne i portoghesi – e lo stesso Parlamento europeo)? Perché non hanno dato battaglia?
La spiegazione che viene fornita dai riformisti è che il voto contrario su quel punto (decisivo) è servito per portare tutto il gruppo a votare la risoluzione finale. Un do ut des. Sarà. Ma pare piuttosto uno scambio da consiglio comunale, un barocchismo da assemblea studentesca, mentre si sta discutendo delle sorti di un popolo sotto attacco. Per il nuovo Pd europeo insomma è stata un’occasione persa di mettersi dalla parte giusta.
Per i riformisti, male la prima, malissimo.