A un primo sguardo Il Vedovo pare una delle molte sulfuree commedie degli anni ’50 e ’60, ma, osservando minutamente, si scopre una gradazione di nero più intensa del solito –
in senso metaforico, ma anche letterale: nella seconda parte, le scene si sviluppano entro contrasti luce/ombra sempre più accentuati, fino al goffo “delitto perfetto” avviluppato per qualche secondo in un angosciante buio totale -, una dissezione sarcastica che non lascia speranze, né margini di complicità con i personaggi.
Si assapora l’amara, raffinata rappresentazione di una borghesia produttiva lombarda, acidula e compiaciuta, che veleggia fra Milano, la Svizzera e le villule brianzole contigue alla Maria Giuseppina e Maria Antonietta di memoria gaddiana (di quel color linfatico che eccita vieppiù il sadismo degli elementi) – con annesso pollaio di proprietà Bertoloni -, dove prendono forma i primi tic linguistici di classe e si dispiega la logorrea gergale di tante Signorine (e Signori) snob in apprensiva attesa di una telefonata della cara mamussi dal soggiorno ginevrino o parigino.
Risi e Franca Valeri sono geniali nel ritrarre la possidente meneghina Elvira Almiragli, utilizzando con grande misura i toni di un “grottesco” salottiero e impietoso.
Non si può non avvertire una trafittura di sottile inquietudine contando i passetti rigidi con cui Elvira si porta alle spalle del marito per esclamare con occluso, calcolato disprezzo Cosa fai Cretinetti, parli da solo?, mandandone così in pezzi il soliloquio di spiraliforme megalomania … leggi tutto