di Paolo Viganò
LIBRI
Ben Smith racconta nel suo nuovo libro il cambiamento del mondo delle notizie, dalla nascita dei primi blog fino ai social network
Se vi siete mai domandati come una parte del giornalismo di oggi sia passata dall’epoca eroica delle enormi redazioni, degli inviati e dei reportage sul campo a una in cui guadagna quattro milioni di lettori online con titoli (reali) come «Bullo dà del ciccione al conduttore del telegiornale, il conduttore lo demolisce in diretta tv», troverete una storia piuttosto dettagliata della faccenda leggendo Traffic di Ben Smith (Altrecose, traduzione di Andrea Gechi, pp. 413, euro 21).
Smith, autore che vanta una decennale esperienza nel giornalismo online, racconta in un libro illuminante come il mondo dell’informazione sia arrivato a questa epocale «trasformazione» – qualcuno, incurante di vedersi affibbiato l’epiteto di boomer, potrebbe anche chiamarlo «declino».
Erano i primi anni Duemila, quando, dopo il crollo del Nasdaq, la palingenesi del web veniva guidata da una carnevalesca banda di nerd dell’informatica, blogger assetati di fama e primi esponenti dell’alt-right. Una strana comitiva in cerca di un medesimo feticcio: il «traffico».
CHE COSA sia il traffico è facile e al contempo difficile dirlo: è il dato che registra il numero di fruitori di un certo contenuto, ma è anche, forse, una faccia dello spirito del tempo, come lo definisce Smith.
Ed è anche la fonte del successo dei protagonisti di Traffic – da Jonah Peretti, creatore del concetto di viralità, a Nick Denton, che guadagnò una fortuna grazie alla diffusione di materiale privato di celebrità americane sul blog Gawker.
Il libro di Smith aiuta a cogliere molti punti oscuri di una rivoluzione in cui ci siamo ritrovati senza nemmeno accorgercene: è la storia di un mondo, inizialmente piccolo e poi in rapida espansione, che è arrivato a sfidare e battere i «dinosauri» dei media tradizionali, costringendoli a trovare nuove strategie per sopravvivere.
Ed è anche, tristemente, la storia di come l’egemonia dei social nel campo delle notizie abbia portato a fenomeni come le fake news, la sgangherata campagna elettorale di Trump, l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
IN PROPOSITO, Smith commenta che il trionfo sui social di Trump & co. nell’ultima parte degli anni Dieci «rientrava in un modello di populismo… che ha travolto la piattaforma». Una serie di contenuti regressivi che si attagliavano perfettamente ai nuovi media, precedentemente esclusiva del mondo liberal – a tal proposito, Traffic racconta anche di come la prima campagna elettorale di Obama guadagnò una «spinta» decisiva dal mondo di internet.
Da qui, la consueta domanda. Di fronte all’impazzimento del mondo dell’informazione digitale, che passa rapidamente dall’infotainment a propalare notizie false, che fare? Smith pare ottimista, e conclude il suo libro parlando di un establishment di «persone che… lavorano nei media, nella politica e nella tecnologia, oggi impegnate a capire come tenere insieme queste istituzioni in crisi».
Una questione di controllo quindi, di raffinamento degli algoritmi, di inserimento di più stringenti linee guida – desta qualche perplessità, tuttavia, che tale operazione di sorveglianza sia spesso lasciata all’iniziativa privata.
NEL 1951, il teorico dei media Marshall McLuhan scrisse: «La nostra è un’epoca in cui, per la prima volta, molte migliaia delle menti individuali più preparate si sono dedicate a tempo pieno al compito di penetrare all’interno dell’opinione pubblica».
Traffic è parte della storia di come, mezzo secolo più tardi, grazie ad algoritmi, feed e al nostro smodato amore per gli apparecchi, questa ricerca si sia evoluta fino a inseguirci direttamente nel nostro quotidiano.