Diciamolo
Da Von der Leyen a Casapound, il presidente del Senato è riuscito a mettere in imbarazzo nuovamente il governo e la maggioranza.
Ci vuole una grande ingenuità, o una grande indulgenza, per stupirsi della magra figura della nostra premier al tavolo delle nomine europee, visto come ha gestito le nomine italiane
Se volessi fare un elenco di tutte le dichiarazioni, gli atti e i gesti con cui Ignazio La Russa, in questi due anni, è stato motivo di imbarazzo per Giorgia Meloni e per l’intera maggioranza che lo ha voluto e votato alla seconda carica dello stato, dalle sue parole su via Rasella, l’antifascismo e il busto di Mussolini a quelle sulle donne e gli omosessuali, passando per gli impropri interventi sulle riforme istituzionali (come quello in cui parlava dei «troppi poteri» del presidente della Repubblica) o la proposta di cancellare il doppio turno dalla legge elettorale per le amministrative, avanzata nel giorno in cui la destra perdeva diversi Comuni al ballottaggio, non mi basterebbe una giornata intera.
Sui giornali di oggi, anche i più benevoli, impegnati da settimane nello spiegare che l’isolamento di Meloni in Europa è in realtà sapiente manovra, cauta apertura, astuta prudenza, c’è addirittura l’imbarazzo della scelta.
Sul Corriere della sera, per esempio, Massimo Franco osserva con dovizia di eufemismi che le parole pronunciate ieri da La Russa proprio sul voto di Fratelli d’Italia contro Ursula von der Leyen («Avevo scommesso che non avremmo votato a favore»), unite all’esibito apprezzamento per la scelta del suo partito, «al di là dell’irritualità, sono parole destinate a non rasserenare i rapporti tra Palazzo Chigi e le istituzioni di Bruxelles».
Ma anche questo ennesimo passo falso, chiamiamolo così, è oscurato da ben altre dichiarazioni dello stesso presidente del Senato, che ieri è tornato sull’aggressione del giornalista della Stampa da parte dei fascisti di Casapound (su cui peraltro si era già esercitato nella tipica condanna di «ogni forma di violenza»), con le seguenti parole, che riprendo ancora dal Corriere: «Ci vuole un modo più attento di fare le incursioni legittime da parte dei giornalisti. La persona aggredita, a cui va la mia solidarietà, non si è mai dichiarata giornalista. Non sto giustificando niente. Ma sono sincero: non credo però che il giornalista passasse di lì per caso, trovo più giusto se l’avesse detto».
Questo della sua sincerità, del suo non essere un ipocrita, è un argomento che La Russa tira fuori regolarmente in simili circostanze, e basterebbe da solo a dimostrare la totale incomprensione del ruolo che riveste.
Con il suo comportamento, il presidente del Senato dimostra pressoché quotidianamente la totale infondatezza di tante analisi sulla grande accortezza politica di chi lo ha messo lì, e cioè Giorgia Meloni, che infatti ogni giorno paga il prezzo della sua scelta.
Ci vuole davvero una grande ingenuità, o una grande indulgenza, per stupirsi della sua magra figura al tavolo delle grandi nomine europee, visto come ha gestito finora le nomine italiane, di cui La Russa, in fondo, è solo il caso più emblematico ed eclatante.