Le parole vuote di Meloni a Pechino e la marginalità dell’Italia nella politica mondiale (linkiesta.it)

di

Stile Forlani

In Cina, la premier ha ricordato il leader Dc per la capacità di parlare senza dire nulla: chissà se nell’incontro di oggi con Xi riuscirà a mettere un po’ di “ciccia” nella sua strategia

Chi, di una certa età, ha ascoltato Giorgia Meloni parlare nella grande sala nella sede del governo a Pechino ha sicuramente ricordato il vecchio Arnaldo Forlani, ex leader della Democrazia cristiana, Presidente del Consiglio e ministro degli Esteri nel governo Andreotti di unità nazionale, personaggio politico notevole ma che passerà ingiustamente alla storia soprattutto per due cose: una, il drammatico interrogatorio condotto Antonio Di Pietro con la bavetta alla bocca; due, la sua proverbiale capacità di parlare a lungo senza dire niente.

Ecco, Meloni era troppo giovane, ma a Pechino è stata una perfetta Forlani. «L’interesse che tutti abbiamo a rafforzare il partenariato tra Italia e Cina, e per farlo dobbiamo essere capaci di ragionare sui punti di di forza e sui punti di debolezza…».

Accidenti, che spunto.

Ma andiamo avanti: «Le nostre relazioni commerciali siano sempre più eque e vantaggiose per tutti». Incredibile. Notevole poi l’accento sulla necessità di «implementare» quello che già esiste e «sperimentare nuove forme di collaborazione» così che «abbiamo sicuramente molto lavoro da fare e sono convinta che questo lavoro possa essere utile in una fase così complessa a livello globale e che possa essere importante anche a livello multilaterale».

Fortissimo eh? In questo discorsetto Giorgia Forlani Meloni ha valorizzato il piano triennale di azione siglato con il governo di Pechino nel quale si parla tanto di scambi, visite, collaborazioni, ma poca sostanza.

Magari la “ciccia” non figura nei pezzi di carta, ma nel fatto stesso che Meloni ha voluto dare il suo segno di esistenza in vita a un Paese come la Cina con cui i rapporti si erano raffreddati proprio a causa della decisione della presidente del Consiglio di disdire l’improvvido Memorandum sulla Via della Seta firmato da Giuseppe Conte quando questi si era messo in testa di essere uno statista.

Dunque, meglio di niente, si dirà. Meloni peraltro dovrà oggi incontrare Xi in persona – non si dimentichi che lei è presidente del G7 – ed è possibile che cercherà di capire se da parte di Xi ci sono novità sulla guerra ucraina: ma che uno come il presidente cinese confidi a Giorgia Meloni le sue intenzioni pare un po’ irrealistico.

Comunque, tentare non nuoce.

Ma tutto questo non cancella l’impressione di una crescente marginalità dell’Italia nella grande politica mondiale. Dopo aver lesionato forse in modo irreparabile i rapporti con l’Europa, totalmente incerta davanti al grande enigma americano, fuori dai grandi circuiti politici e economici del pianeta, la piccola Italia di Giorgia Meloni, partita con fare tronfio di chi è convinto di poter spezzare le reni al mondo si ritrova adesso a parlare in “forlanese”.

Solo che, ai tempi, la Dc era più rispettata.

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