La Commissione: «Il rapporto frutto di un metodo inclusivo»
È la prima volta che un premier scrive alla presidente della Commissione europea per polemizzare riguardo al rapporto annuale «sullo Stato di diritto».
Ma non è la prima volta che il governo di Giorgia Meloni scrive ai funzionari di Ursula von der Leyen su questo argomento. Fra gennaio e aprile una squadra di funzionari che fa capo al belga Didier Reynders, commissario Ue alla Giustizia, è stata più volte a Roma. Ha parlato con la Federazione nazionale della stampa italiana, con l’Ordine dei giornalisti e con l’osservatorio sostenuto da entrambi che va sotto il nome di «Ossigeno per l’informazione».
In parallelo si è rivolta al governo e a esso ha riportato le critiche ascoltate da altri sulla gestione della Rai e dell’informazione nell’emittente pubblica. Alle organizzazioni della società civile, così come al governo, i funzionari di Reynders hanno chiesto precise relazioni scritte sui criteri di gestione della televisione di Stato, sui suoi equilibri finanziari, sul servizio pubblico.
Anche per questo la missiva della premier ieri è stata ricevuta con un filo di sorpresa. In primo luogo, perché il Rapporto sullo stato di diritto nei 27 Paesi dell’Unione è di sei giorni fa e la lettera di Meloni è atterrata in una Bruxelles ormai in vacanza dopo la maratona delle nomine. La caduta di tensione è tale che ieri per ore la Commissione non riusciva neanche a confermare di aver ricevuto la lettera.
Eppure era già transitata per la rappresentanza permanente d’Italia a Bruxelles, che l’aveva consegnata. Poi però lo stupore ha riguardato l’intensità della reazione della premier. Ha osservato ieri una portavoce della Commissione: «Com’è noto, il Rapporto annuale sullo Stato di diritto segue un metodo ben affermato ed è il frutto di un processo inclusivo con tutti gli Stati dell’Unione europea e con i portatori d’interessi».
Parole studiate per far capire che il governo italiano era già stato sentito prima della pubblicazione, più volte; dunque le critiche di Meloni al rapporto («Dispiace che non sia stato risparmiato dai professionisti della disinformazione e della mistificazione») erano sicuramente già note.
Qualcuno a Bruxelles ha persino avuto l’impressione che il vero bersaglio di Meloni non fossero von der Leyen o Reynders; ma piuttosto quelli che lei vede come suoi avversari interni, i «professionisti della disinformazione». Certo è che a Bruxelles si sottolinea ora come il rapporto sullo Stato di diritto, soprattutto sul tema delicatissimo della Rai, fosse «basato sui fatti».
La versione del 2022 di quel testo quasi non parlava della televisione di Stato. Quella del 2023 vi dedica un solo paragrafo. Quella di quest’anno — rinviata attentamente fino a dopo la conferma di von der Leyen — ci si sofferma per più di tre pagine, nelle quali la Commissione riferisce le osservazioni degli uni e degli altri senza prendere posizione quasi mai.
Ma a volte sì e, quando lo fa, il rapporto non prende di mira direttamente il governo: parla piuttosto degli assetti generali dell’emittente pubblica. «Da tempo l’efficacia del sistema di governance nel garantire la piena indipendenza della Rai è motivo di preoccupazione in Italia», si legge. O ancora: «I rischi di influenza politica sono frutto della prassi consolidata di riorganizzare le posizioni apicali della Rai basandosi sull’equilibrio dei poteri politici». In una Bruxelles scivolata nelle ferie, tutti si erano già dimenticati di quelle frasi di qualche funzionario. Ora la lettera di Meloni ha acceso un faro di luce più intenso.
E von der Leyen dovrà rispondere, «basandosi sui fatti».