di Gaetano Pecorella
La pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato.
Ma la classe politica bada soprattutto ai suoi tornaconti elettorali
Le carceri sono un problema umano, non politico o di maggioranza e minoranze: per questo si avverte un senso di imbarazzo di fronte a partiti politici che in Parlamento si scontrano dimenticando la Costituzione, il numero di suicidi tra le sbarre, e, non ultima, l’assenza di ciò di cui avrebbe diritto ogni essere umano, e soprattutto di coloro di cui ancora non si sa se sono colpevoli o innocenti.
Ciononostante lo scontro non avrà fine e i criteri per intervenire non saranno la tutela della persona umana, né ciò che è più giusto, o ciò che non lo è, ma la “bilancia” di quanti voti si guadagneranno con certe scelte, o di quanti voti si perderanno. C’è da vergognarsi di fronte a partiti che hanno contribuito a formulare e discutere l’art. 27 Cost. ed ora, per ragioni prettamente elettorali, si oppongono a riforme anche minimali.
Uomini come Malagugini, o lo stesso Gramsci, si rivolteranno nella tomba di fronte a chi contrasta una riforma come quella di elevare la detrazione della pena, ai fini della scarcerazione anticipata, dagli attuali 45 giorni a 60 giorni per semestre.
Se non si può non essere d’accordo con questa misura di buon senso, non si possono condividerne le ragioni per cui la stessa è stata proposta, perché ricade nel calcolo politico della gestione delle carceri come se in gioco fosse la sicurezza e l’obiettivo di evitare le rivolte estive. Nelle carceri, viceversa, vivono esseri umani, in stato incompatibile con ciò che è dovuto all’uomo, centro della Costituzione e di questo pianeta.
Tutto deve partire, invece, dall’art. 27 Cost. e dalla funzione della pena che non può e non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato. Se non si parte da questi sacrosanti principi non si potrà mai sperare che i cittadini possano avere rispetto e possano condividere le sofferenze dei detenuti, a prescindere da ciò di cui sono accusati,
L’art. 27 in sede di assemblea costituente fu discusso, modificato, e migliorato con l’intervento di tutte le forze politiche a prescindere dalla loro collocazione a sinistra, a destra o al centro.
E’ segno del degrado della cultura in questo Paese dimenticarsi che quella norma fu votata da De Gasperi come da Togliatti e che l’obiettivo non era quello di alleggerire il peso delle carceri, ma di riconoscere la dignità di ogni persona, con l’effetto che tale riconoscimento consolidava il senso di eguaglianza al di là delle condizioni personali e sociali.
Ci troviamo di fronte a due proposte: l’una di lasciare le cose come stanno, e l’altra di cambiare per evitare il peggio; nessuno in Parlamento che abbia detto che non si vogliono condoni mascherati, ma il recupero della condizione umana dei detenuti. Se la pena deve tendere alla rieducazione è necessario riconoscere un beneficio a chi persegue questo obiettivo con la durata della pena che sia proporzionata al raggiungimento di questa finalità.
Nella vicina Svizzera la pena prevede un minimo dopo il quale si riesaminano le condizioni personali del detenuto per stabilire quale sia il grado di recupero sociale. Noi abbiamo la liberazione anticipata che dovrebbe accertare se il detenuto si è avviato a una vera rieducazione.
Non tiene conto dei parametri costituzionali né chi voglia tenere in carcere un detenuto senza valutare il cambiamento della sua personalità, né chi voglia scarcerarlo anticipatamente solo per ragioni di opportunità o di sicurezza. Ogni detenuto dovrebbe essere soggetto a un esame permanente ed avere la liberazioni anticipata solo in funzione del suo grado di rieducazione.
Ma questo significherebbe avere una classe politica che non guarda ai propri introiti elettorali, ma soltanto a ciò che è giusto e a ciò che non lo è.