Intervista a Diletta Bellotti, autrice di Pomodori rosso sangue,
libro nel quale racconta la sua esperienza nelle campagne di Borgo Mezzanone assieme a chi resiste allo sfruttamento.
Il 19 giugno 2024 Satnam Singh, bracciante di origine indiane che lavorava nelle campagne di Latina, è morto all’ospedale San Camillo di Roma. Due giorni prima un macchinario agricolo gli aveva tranciato un braccio e il suo datore di lavoro – o meglio: padrone – l’aveva abbandonato davanti a casa con il braccio staccato appoggiato dentro una cassetta della frutta.
Singh è morto di emorragia, avrebbe potuto salvarsi. Negli stessi giorni usciva nelle librerie Pomodori Rosso Sangue, un libro di Diletta Bellotti.
Pomodori Rosso Sangue è sia il titolo del libro che il nome della della campagna collettiva che Bellotti, insieme a Isabella Sofia Picchi, ha fondato per sensibilizzare, e puntare un faro sull’invisibilizzazione di chi viene sfruttato nei campi per raccogliere il cibo che sostiene la filiera dell’agroalimentare e arricchisce le nostre tavole.
«Con obiettivo di suscitare disgusto nei consumatori, cercando quindi di trasformare un ribrezzo individuale in una mobilitazione collettiva», scrive Bellotti. Edito da Nottetempo, Pomodori Rosso Sangue riporta il diario e la testimonianza dell’estate 2019, che l’autrice ha trascorso a Borgo Mezzanone, in Puglia, un insediamento spontaneo in gergo, baraccopoli di lamiere in parole povere.
Bellotti ha voluto comprendere le dinamiche del caporalato dalla stessa prospettiva di chi ci è dentro e ha fatto quello che in pochissimi hanno avuto il coraggio di fare: ha vissuto insieme agli invisibilizzati, ai migranti irregolari, ai lavoratori sfruttati e alle survivor di sfruttamento sessuale. Diletta Bellotti ha raccontato la vita all’interno del campo, le dinamiche che si creano tra gli abitanti e i caporali, le condizioni delle donne.
Tutte le persone che ha incontrato e con cui ha vissuto sono riportate per privacy con nomi di vegetali. Molte non ci sono più, o sono partite. È dall’esperienza di Borgo Mezzanone che è nata l’esigenza di organizzare anche azioni di protesta.
Ma nel libro leggiamo un’analisi del sistema del caporalato in Italia partendo dalle ricerche pregresse di altri studiosi; una parte più storiografica che riporta le lotte contro il caporalato che sono state fatte in Europa e in Italia negli ultimi decenni, come il movimento nato a Nardò e guidato dal camerunese Yvan Sagnet che nel 2011 portò alla prima legge contro il caporalato, la 138/2011.
ⓢ Ti ricordi quando è avvenuto il tuo primo approccio al caporalato? Come l’hai vissuto?
Sono cresciuta a Roma, ma metà della mia famiglia è di Bari. Un’amica pugliese, sapendo che mi interessavo di movimenti politici e di lavori legati alla terra mi regalò il libro Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra dell’oro rosso di Yvan Sagnet. Quel libro è stato epifanico: dopo averlo letto ho preso coscienza di tutte quelle persone che vedevo tornando a casa in Puglia ai bordi delle strade, in bicicletta o in mezzo ai campi e che prima vedevo solo con la coda dell’occhio. Quando ho iniziato la magistrale in Diritti umani e Migrazione internazionale a Bruxelles ho capito che il caporalato è un punto d’intersezione tra tante lotte contemporanee: la questione ecologista, le migrazioni, la lotta transfemminista e l’antispecismo sono tutti collegati. Insieme ad alcuni amici abbiamo fondato il collettivo Fango – Collettivo di scrittura per la lotta intersezionale per parlare di quanto il lavoro sfruttato sia lontano dal nostro sguardo e di quanta affinità ci sia tra i macelli e il caporalato nei campi.
ⓢ In Pomodori rosso sangue dici che i lavoratori agricoli non sono “invisibili” ma “invisibilizzati”. Che le lotte sociali hanno bisogno di un lessico specifico. Per individuare un problema e risolverlo è necessario chiamarlo con il suo nome. Infatti, nel caporalato, si parla di padroni, non di datori di lavoro.
Mi sono interessata molto alla questione del linguaggio. È essenziale usare le parole giuste e fare in modo quelle parole vengano ascoltate e riconosciute. Usare la giusta terminologia innesca un movimento verso l’altro, verso il linguaggio dell’altro. Mi sono resa conto che caporalato non vuol dire niente in Italia, non è una parola di dominio pubblico. Se una persona legge sul giornale “morto di caporalato”, non capisce la complessità del sistema dietro a questa parola. Abbiamo reso la campagna Pomodori rosso sangue volutamente retorica usando la bandiera italiana e i pomodori sporchi di sangue: è stato un modo creare per linguaggio politico condiviso e comprensibile, per far sì che le persone empatizzassero e si mobilitassero per creare una comunità affinché chi è sfruttato e razzializzato avesse un luogo sicuro in cui esprimersi ed essere capito.
ⓢ Prima di andare a vivere nell’insediamento informale di Borgo Mezzanone – in provincia di Foggia – avevi paura? In quanto percepita come donna avresti potuto correre più rischi.
Prima di partire un amico mi disse che per me in quanto corpo femminilizzato era più rischioso, me ne resi conto ma non lo ascoltai. Anche i ragazzi di Will sono andati a Borgo Mezzanone per il documentario One Day One Day, e hanno potuto documentare molto più di me. Ovviamente la mia esperienza lì è stata modellata dal mio essere percepita come donna perché avevo principalmente a che fare con uomini cis che non mi toccavano, non mi davano la mano, spesso non mi guardavano in faccia. Il mio corpo è stato estremamente ingombrante in quell’esperienza. Ci sono andata consapevole che avrei potuto morirci, ma avevo bisogno di farlo, non potevo accettare di vivere in un mondo così violento senza fare nulla. Per cambiare le cose devi stare in mezzo alle persone.
ⓢ Il tuo libro è uscito solo a pochi giorni dall’omicidio di Satnam Singh: un evento che ha avuto un forte riscontro mediatico, e a cui sono seguite nuove denunce di sfruttamento: i maltrattamenti nelle Langhe, gli arresti di Velletri. Pensi che la morte di Singh abbia fatto la differenza o tra un po’ si tornerà al silenzio di prima?
Purtroppo no. È sempre lo stesso discorso, c’è un problema di attenzione mediatica. Ora in estate è il momento in cui in agricoltura si muore di più e quindi se ne parlerà ancora un po’. La notizia di Satnam Singh si è diffusa molto è vero e ci sono state manifestazioni. Manifestazioni che trovo ridicolo siano state organizzate dai sindacati e dai partiti visto che sono parte del problema. Ora l’attenzione riguardo a questi temi è alta, ma queste violenze accadono da sempre. Non credo nemmeno al “basta che se ne parli”, perché basti vedere quello che è successo con Aboubakar Soumahoro. Era l’unica persona a parlare di questi temi e quindi è stato mandato avanti. Il suo problema è che non ha mai passato il microfono, non ha dato abbastanza voce ai movimenti, e torniamo al problema dell’eroismo di prima.
ⓢ Cosa dovrebbero fare le istituzioni che non stanno facendo?
Il problema del caporalato che è inserito in un contesto di economia di mercato globale che si basa sullo sfruttamento della mano d’opera usa e getta e sul lavoro di persone che sono ridotte in schiavitù. Esisteva il caporalato anche pre-industriale ma aveva una scala diversa perché era inserito nel contesto di un’Italia agricola. Il caporalato di adesso riguarda un’Italia iper globalizzata, con i supermercati e la Gdo che controllano i prezzi di mercato. Il lavoratore agricolo è l’ultimo pezzo del puzzle ed è la persona più impattata. Le istituzioni dovrebbero eliminare le leggi migratorie, abolire Frontex e attuare una gestione dei confini diversa, perché tanto la gente in Europa ci viene comunque. Inoltre bisognerebbe eliminare la dipendenza tra il permesso di soggiorno, il lavoro e l’affitto perché si creano sistemi di ricatto e dove c’è un vuoto istituzionale arrivano le mafie. Bisognerebbe risolvere la questione dei centri per l’impiego e cambiare la gestione del subappalto che è sempre caporalato legalizzato, vedi la questione dei rider. Le istituzioni dovrebbero anche lavorare sul razzismo sistemico di questo paese che pensa che le persone si debbano guadagnare l’esistenza. E poi indubbiamente dovremmo tutti smettere di consumare così tanto.
ⓢ A proposito dei Cpr voluti dal governo Meloni in Albania, come pensi che influenzeranno gli equilibri?
Tocchi un tasto dolente perché i Cpr sono la cosa che mi distrugge il cuore. Non capisco come sia possibile che esistano. I Cpr in Albania mettono in atto lo stesso sistema di delocalizzazione dei luoghi di sfruttamento e di oppressione. Allontanarli dai nostri occhi non li fa smettere di esistere. Inoltre se fai una protesta in Albania facilmente finisci come Ilaria Salis.
ⓢ Tutto è politico: cosa mangiamo, cosa vestiamo anche l’aria che respiriamo. Come riuscire a trasmetterlo?
Ogni persona ha un livello di accettazione diverso. Marco Reggio per esempio, nel suo libro Cospirazione animale inizia con l’antispecismo e alla fine parla di clima. Abbiamo tutti sensibilità diverse, c’è chi arriva prima alla questione dei diritti umani e poi a quella climatica. Simon Weil ne parla molto in La prima radice. Quello che credo sia importante è riuscire a sistematizzare questo sentimento di ingiustizia. Servono dei luoghi di mobilitazione e di dialogo che facciano cultura dal basso che aiutino le persone a capire quello che sentono e a onorare i sentimenti e le convinzioni degli altri, che è anche la base del intersezionalità. Non tradire se stessi, tenere a mente la realtà delle altre persone e rendere giustizia a tutti. È questa la cosa più difficile.