L’opposizione scommette sul referendum sull’autonomia differenziata, ma rischia grosso (linkiesta.it)

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La madre di tutte le battaglie

Il quesito sarà indirettamente un voto sull’andamento del governo.

Renzi e Schlein sono fiduciosi di poter mettere Meloni in difficoltà, ma devono fare i conti con almeno tre grosse incognite

Quasi trecentomila firme. Un botto, indubbiamente. Grazie anche e soprattutto alla possibilità di sottoscrivere il referendum sulla legge Calderoli per via telematica. E il centrosinistra si esalta. Forse troppo.

Così che la “madre di tutte le battaglie”, come la chiamava Giorgia Meloni, non è più il premierato – una legge costituzionale che fluttuerà a lungo tra le aule parlamentari – ma il referendum abrogativo sull’autonomia differenziata, cavallo di battaglia della Lega.

Matteo Renzi lo dice apertis verbis da settimane e lo ha ripetuto ieri: «Se c’è il quorum il governo rischia». Il Partito democratico, pur convinto che si tratti di una battaglia fondamentale, forse non si era reso conto che l’inerzia porterà la macchina referendaria a un bivio decisivo, o forse contro un muro, perché sarà inevitabilmente un referendum sul governo.

Il leader di Italia Viva sembra voler prendere le redini della carrozza referendaria – puntualmente, al contrario, Carlo Calenda non vi è mai salito – dicendo a voce alta quello che i dem più prudenti non desiderano sentire, e cioè appunto che nella primavera del 2025 gli elettori andranno (o non andranno) alle urne di fatto per dire sì o no a Meloni. È un rischio altissimo. Giocare la vita del governo e della legislatura ai dadi di una consultazione referendaria potrebbe diventare il più clamoroso autogol politico mai visto (alla pari con quello di Renzi – sempre lui – del 2016).

È chiaro che a sinistra in questa fase c’è una rinnovata fiducia in sé stessa. L’ottimismo è alto. Si confida nel fatto che Sud e Centro bocceranno la legge Calderoli e si scommette che questo inverno Meloni e Giancarlo Giorgetti dovranno inventarsi una manovra economica senza avere i soldi con in più alle spalle un triplete negativo nelle Regioni in cui si voterà: sicché Renzi e Elly Schlein prevedono che al referendum il governo arriverà in affanno.

Ma ci sono tre incognite una più pesante dell’altra. La prima è che il quesito non venga ammesso dalla Corte Costituzionale. Secondo alcuni costituzionalisti la legge Calderoli è una “legge cornice” (tra l’altro così voluta dal Partito democratico) indispensabile per applicare la Costituzione e dunque è una legge «a contenuto costituzionalmente obbligatorio» e come tale non sottoponibile a referendum.

Secondo ostacolo “tombale” sarebbe lo scioglimento delle Camere chiesto da una premier in difficoltà e alla ricerca di un nuovo consenso (con elezioni anticipate non si celebra il referendum).

Terzo elemento più concreto, il non raggiungimento del quorum del cinquanta per cento dei votanti per rendere valida la consultazione. Su quest’ultimo punto Calenda ha osservato che portare al voto venticinque milioni di italiani appare impresa improba. Con l’incognita di un Nord presumibilmente favorevole all’autonomia differenziata che si prospetterebbe ancora una volta come una terra ostile alla sinistra.

È evidentemente troppo presto per ipotizzare come andrà a finire. Quello che è significativo è che le opposizioni, tranne Azione, stanno più o meno consapevolmente fissando l’auspicata deadline del governo forse sottovalutando il consenso di cui la premier, pur avendo smarrito lo smalto dei primi tempi, tuttora gode.

E soprattutto le domande sono le seguenti: chi può dirsi certo che una riforma così complessa e lontana dall’evocare questioni fondamentali di coscienza e democrazia possa spingere metà del Paese alle urne? E Renzi e Schlein hanno messo in conto le conseguenze di una sconfitta, cioè l’assicurazione sulla vita di Giorgia Meloni? Cosa dà al centrosinistra la certezza di vincere questa nuova “madre di tutte le battaglie”?

Interrogativi che ci si doveva porre prima, adesso è tardi: la macchina è lanciata su una pista scivolosa.

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