di Massimo Gramellini
Il caffè
In estrema e brutale sintesi, la boxeur algerina Imane Khelif è una donna per i globalisti del Cio e un uomo per i sovranisti dell’Iba, il governo mondiale del pugilato presieduto da un oligarca di Putin e finanziato dai rubli di Gazprom.
I massimi esperti in materia, come la scienziata Silvia Camporesi intervistata dal Corriere , danno ragione al Cio e spiegano che Khelif è una donna che produce alti livelli di testosterone, non un transgender. È appena il caso di aggiungere che difficilmente un transgender avrebbe potuto diventare eroe nazionale in Algeria, dove persino l’omosessualità è perseguita come reato.
Il tema resta complicatissimo, ma il vero punto sconvolgente di questa storia, come di tante altre del nostro tempo, è che non esistono più regole condivise né autorità riconosciute. Forse anche mio nonno avrebbe pensato che Imane Khelif non fosse una donna, ma mai avrebbe osato mettere in dubbio la competenza e la buona fede di chi, da un pulpito istituzionale, gli avesse garantito che lo era.
Ogni comunità si regge(va) su un tacito patto di fiducia.
Se invece oggi chiunque si sente autorizzato a discutere di testosterone con gli scienziati di mezzo mondo e a vedere complotti ovunque, contestando le regole e trasformando in un mostro chi — come Imane Khelif — si limita a rispettarle, significa che stiamo scalando a grandi passi i gradini di una nuova torre di Babele.
Dove, a furia di gridare tutti, alla fine non ascolteremo più nessuno.