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Il segretario generale della Cisl:
“Bene i dati sulla crescita del Pil, ma in vista della Manovra ora serve più dialogo con il governo”
La politicizzazione del conflitto sociale da parte della Cgil con le sue battaglie referendarie su Jobs Act e autonomia differenziata è un venir meno del sindacato al suo ruolo di difesa dei lavoratori. Parola di Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl, che ora chiede al governo di aprire un confronto serio sulla manovra 2025 e sulle pensioni.
Segretario Sbarra, la crescita del Pil superiore la rende ottimista sugli esiti della manovra 2025?
«È un segnale incoraggiante, frutto anche del contributo di milioni di lavoratori. Si tratta di dare con la prossima manovra un ulteriore impulso alla crescita e agli investimenti pubblici e privati, con nuove politiche industriali e infrastrutturali, un taglio delle tasse sui ceti medi e popolari e il rinnovo dei contratti pubblici».
Siete sempre disponibili ad aprire un confronto sulle misure a favore del lavoro dipendente?
«Solo dal confronto possono nascere misure eque e durature. La polarizzazione politica non fa bene al Paese. Sulla manovra è imprescindibile un dialogo costruttivo tra il governo e le parti sociali riformiste e responsabili. Dovranno essere riconfermate alcune conquiste di questi anni, a partire dalla riduzione del cuneo fiscale per le fasce medio-popolari e dell’accorpamento delle prime due aliquote Irpef. Bisogna dare continuità alla defiscalizzazione sui frutti della contrattazione e garantire l’indicizzazione delle pensioni. Chiediamo interventi a favore famiglia e della natalità, e a supporto della non autosufficienza. Serve un forte investimento nel pubblico impiego, sulla sanità e nella scuola».
Quali prospettive vede per il cantiere pensioni?
«I margini non mancano. Bisogna riaprire il tavolo e lavorare su tre priorità: pensione di garanzia per i giovani, sostegno alla previdenza complementare e flessibilità in uscita».
A che punto è il vostro pdl sulla partecipazione dei lavoratori nelle aziende?
«L’autunno sarà decisivo anche su questo fronte. Ci sono tutti i presupposti per dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione, proiettando nel futuro le relazioni industriali. Il ministero del Lavoro ha dato il via libera ai pareri sugli emendamenti in commissione. Ora il dossier è al Mef per l’analisi sulla copertura. Bisogna accelerare verso una rapida approvazione della legge in un clima bipartisan».
La Cisl resta dialogante anche su questioni come l’autonomia differenziata.
«Si stanno scatenando tifoserie politiche contrapposte. L’approccio apocalittico da una parte e il tentativo, dall’altra, di farla passare come la panacea di tutti i mali. Non ci iscriviamo né all’una né all’altra fazione, e facciamo nostre le parole di Sabino Cassese: la riforma è una realtà dal 2001 e il disegno autonomistico è prefigurato in nuce dagli stessi padri costituenti. Si tratta di dargli buona applicazione, garantendo che l’attuazione assicuri solidarietà, coesione sociale e unità del Paese. In questo solco la legge andrebbe ulteriormente migliorata. Precondizioni essenziali di ogni accordo tra Stato e Regioni dovranno essere il pieno finanziamento dei Lep, l’individuazione dei fabbisogni standard, la creazione di un fondo di perequazione nazionale e bisogna tenere la legge lontana dalla contrattazione collettiva nazionale e dalla scuola».
A questo proposito, il segretario Cgil Landini ha detto che il sindacato deve fare politica. È d’accordo?
«Il sindacato fa politica, sociale non partitica. Ma la fa, o la dovrebbe fare, in modo indipendente dai partiti, dialogando o entrando in conflitto in autonomia con tutti i governi democratici, a prescindere dal loro colore politico. Questa è per la Cisl la soggettività politica, ben lontana da posizioni antagonistiche e collateralismi novecenteschi».
Come cercherete di contrastare i fenomeni di deindustrializzazione che le altre organizzazioni sindacali paiono trascurare?
«Come sempre noi non faremo sconti a nessuno. Abbiamo già chiesto al governo l’attivazione del golden power sulla cessione Comau a One Equity Partners, a garanzia del patrimonio industriale del nostro Paese.
E questo vale per tutte le aziende che dopo aver goduto per anni di incentivi e sussidi pubblici decidono di delocalizzare o chiudere gli stabilimenti. Se in Italia avessimo già un modello di relazioni sindacali partecipativo, avremmo avuto sicuramente più controllo da parte dei lavoratori sulle scelte incaute di molte imprese».