di Valentina Stella
Parla Glauco Giostra, ordinario alla Sapienza di Roma e presidente degli “Stati generali sulla detenzione” che furono istituiti da Andrea Orlando
Del decreto Carceri approvato ieri al Senato (e subito “trasferito” alla Camera) parliamo con Glauco Giostra, ordinario alla Sapienza di Roma e presidente degli “Stati generali sulla detenzione” che furono istituiti da Andrea Orlando ma di cui la politica non ha mai fatto tesoro.
Il Dl sarà in grado di rispondere alla situazione degli istituti di pena?
Il provvedimento ha lo sgradevole sapore di una presa in giro: usa la decretazione d’urgenza per non intervenire con urgenza. A parte che, secondo il mai abbastanza deprecato andazzo italico, anche questo decreto legge è un contenitore di raccolta normativa indifferenziata, che va disinvoltamente dall’introduzione del reato di “Indebita destinazione di denaro o cose mobili” alla “modifica in materia di Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie”, tradendo platealmente l’omogeneità funzionale che dovrebbe costituzionalmente connotarne il contenuto. Ma poi nessuna, dico nessuna, delle disposizioni che vi sono contenute è in grado di intervenire immediatamente, giustificando così la procedura d’urgenza, per migliorare da subito la situazione. Non mancano provvidenze, poche per la verità, che meritano apprezzamento, come la norma dedicata alle “strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale dei detenuti”, ma questa e tutte le altre, alcune persino controproducenti, come la nuova disciplina della liberazione anticipata, diverranno operative a distanza di molti altri suicidi, di molti altri atti di autolesionismo, di molte altre ustionanti e onerose condanne dello Stato per il trattamento inumano e degradante riservato a persone che ha in custodia.
Siamo arrivati a 61 suicidi, più 6 tra gli agenti penitenziari. Secondo lei nel governo non c’è abbastanza sensibilità verso questa ‘ pena di morte di fatto’, come l’ha definita il segretario della Uilpa Gennarino de Fazio?
Sì, vi è una carenza di sensibilità o quanto meno di vera percezione della drammaticità del problema. E chi ha responsabilità di governo farebbe bene ad ascoltare De Fazio, una delle poche voci istituzionali che mostra di sapere di cosa parla, quando ammonisce “a futura memoria” che “in assenza di misure concrete ed efficaci, a breve resteranno solo macerie a coprire cadaveri”. Non vorrei essere frainteso: l’angosciante condizione dei nostri penitenziari non è certo addebitabile solo all’attuale governo. Nessuna forza politica può chiamarsi fuori da responsabilità, sebbene collocate in momenti e su gradi diversi. Quello che non è perdonabile a questo Esecutivo, rattristato a parole, incurante nei fatti, è di non aver cercato di predisporre da tempo rimedi a questa drammatica situazione che oltraggia la dignità dei reclusi e la nostra coscienza. Da mesi ci si trincera dietro l’insulso slogan della “certezza della pena”, che è costituzionalmente ed eticamente in difficoltà di senso. Cosa vorrebbe dire? Che ogni pena deve essere scontata sino all’ultimo giorno con le medesime modalità, prescindendo dal percorso compiuto dal condannato? Sarebbe un modo sicuro per disincentivare qualsiasi comportamento di riabilitazione del condannato nel corso della detenzione e per accrescerne la percentuale di recidiva una volta dimesso dal carcere.
FI inizialmente sembrava favorevole alla legge Giachetti, poi s’è fermata per non mettere in difficoltà la maggioranza. Che ne pensa?
Nella compagine governativa, soltanto Forza Italia aveva di recente dischiuso la porta alla Costituzione, alla civiltà e all’umanità, ma poi l’ha prontamente richiusa per sottrarsi, incredibile dictu, all’accusa di lassismo. Cosa c’entri il lassismo con una misura, come quella per la quale era stata manifestata disponibilità, cioè maggiore riduzione di pena per chi, nonostante l’ invivibile condizione in cui è stato costretto a vegetare, avesse mostrato inequivoci segni di riabilitazione sociale, è difficile comprendere. Semmai si dovrebbe parlare di doveroso atteggiamento risarcitorio. Ancor più difficile comprendere come non si provi semmai un insostenibile senso di colpa a non far nulla per cercare di restituire dignità a decine di migliaia di persone accalcate in stabulari chiamati penitenziari, prive di spazio vitale, di aria respirabile e di speranza; come non si tengano con insostenibile imbarazzo le redini di un Stato che viene condannato migliaia di volte in un anno per il fatto di sottoporre a trattamenti contrari al senso di umanità le persone a cui toglie legittimamente la libertà.
Eppure c’è chi sostiene che nel nostro Paese non esisterebbe sovraffollamento carcerario. Il portavoce dei Garanti regionali, Samuele Ciambriello, ha parlato di “offesa alla ragione” e di “populismo mediatico”. È d’accordo?
Sì, questo sconsiderato negazionismo è anche un’ offesa al nostro Presidente della Repubblica che ha denunciato più volte il problema del sovraffollamento carcerario, che determina “condizioni angosciose agli occhi di chiunque abbia sensibilità e coscienza. Indecorose per un Paese civile, qual è, e deve essere, l’Italia”. Come lei sa, avendolo più volte scritto su queste pagine, condivido anche la preoccupata denuncia del dottor Ciambrello: le carceri sono “in questo momento una polveriera a miccia corta. La politica si è assuefatta all’inferno che stanno vivendo sia i detenuti che la polizia penitenziaria (…) Noi non abbiamo bisogno di nuovi istituti penitenziari, di nuove sanzioni penali, di uno Stato securitario, ma di uno Stato sociale che tuteli i diritti e la dignità di tutti, compresi i detenuti”.
Amnistia e indulto vengono generalmente liquidati come una “resa dello Stato”. Eppure sono previsti dalla Costituzione. Considerato che non ci sono le condizioni politiche per questi provvedimenti, cosa si dovrebbe fare per affrontare qui e ora l’emergenza carceraria?
Guardi, personalmente non sono stato favorevole al ricorrente uso di questi provvedimenti clemenziali, nel secolo scorso, come valvole di sfogo per il “troppo pieno” carcerario. Ma in questa circostanza, se accompagnati da un serio, profondo lavoro di rifondazione del sistema punitivo in generale e penitenziario in ispecie, sarei favorevole; ma, come lei giustamente osserva, non ci sono purtroppo le condizioni politiche. In alternativa, e con minori effetti di decongestionamento carcerario, le soluzioni potrebbero essere di due tipi. Una che tenga conto del dato oggettivo: l’esiguità della pena ( ancora) da espiare: ad esempio, per i residui pena inferiori a un anno, prevedere una misura extracarceraria. L’altra, sulla linea della proposta Giachetti, che riduca in maniera consistente la durata della pena a coloro che se ne sono dimostrati o se ne dimostreranno meritevoli. Questa seconda tipologia di intervento avrebbe forse un minore impatto quantitativo, ma il vantaggio non trascurabile di restituire anticipatamente alla società persone che danno maggiori garanzie di positivo reinserimento. Va da sé che stiamo parlando di antipiretici in grado di abbassare prontamente una febbre insopportabilmente alta. Da subito, però, se non ci si vuole ritrovare nella stessa situazione nel giro di poco tempo, si deve curare la malattia: la cieca volontà repressiva e custodialistica. Magari, iniziando ad aprire qualche cassetto di via Arenula in cui numerosi studi e proposte sono stati lasciati sinora alla corrosiva attenzione dei topi.