di Eric Salerno
Dall'Ucraina al Medio Oriente: come errori di calcolo potrebbero scatenare conseguenze devastanti
Siamo sull’orlo di un precipizio. Un errore, una scivolata, una manciata di morti “sbagliati” può farci precipitare nel vuoto. Il mondo di oggi è diverso da quello di ieri in cui sono nato e ancora più diverso da quello in cui fui concepito o da quello che mio padre o suo padre potevano agire o filosofeggiare. Le certezze, o quasi, di allora, lo sono di meno oggi e i giochi di oggi ne tengono conto, seppure non sempre in modo sufficiente.
Un eventuale errore di calcolo sul fronte ucraino potrebbe provocare una guerra nucleare, ci dicono con convinzione esperti e politici. In Medio Oriente, dove politica e religione hanno creato un cocktail di morte, i rischi sono meno gestibili e anche la Bomba è presente o sta per arrivare. Washington ha detto che Israele potrebbe rispondere in modo limitato alla strage compiuta dal missile di Hezbollah nel villaggio di Majdal Shams.
E forse, se siamo fortunati, il numero dei morti civili aumenterà lentamente – siamo a quasi 40 mila nella Striscia di Gaza, mille e qualcosa in Israele. La vendetta potrebbe essere limitata non soltanto perché i ragazzi uccisi mentre giocavano a calcio non erano ebrei (erano drusi come tutti gli abitanti del villaggio sulle alture del Golan) ma anche perché, dal punto di vista della legalità internazionale, non erano nemmeno israeliani.
Il Golan, formalmente, fa parte della Siria; fu annesso da Israele dopo la guerra del 1967. Con un gesto quasi da teatro, fu, pochi anni fa, il presidente Trump a riconoscerlo come parte di Israele contro ogni legge internazionale e contro ogni risoluzione dell’ONU, ma molti degli abitanti dell’altipiano si considerano ancora cittadini della Siria, non hanno voluto accettare il passaporto israeliano e non sono obbligati a fare il servizio militare in Israele come, invece, sono costretti a fare i loro cugini drusi nei villaggi più a est, a ridosso del confine con il Libano.
Ci sono molti, tra gli aderenti ai partiti di estrema destra che governano in Israele, che vorrebbero vedere l’estendersi del conflitto al Libano (e lo dissero fin dal 7 ottobre dello scorso anno quando Hamas lanciò il suo attacco a sorpresa contro la popolazione civile israeliana a ridosso di Gaza). Ci sono altri che guardano con favore a un attacco all’Iran, convinti di uscirne vittoriosi e con un Medio Oriente meno ostile.
Su queste pagine, a giugno, è stato recensito il mio ultimo libro, “Fantasmi a Roma”. Vi racconto molte storie che collegano i fatti del Medio Oriente alla capitale italiana. Israele, nel 1968, era un altro mondo. La sua gente, uscita vittoriosa da una guerra con gli arabi, guardava con speranza e convinzione alla pace con i vicini. Intervistai una di loro; queste alcune pagine:
Stella Levi, allora, girava il mondo e faceva pubbliche relazioni per l’esercito israeliano. Una soldatessa in un mondo (sebbene in cambiamento) in cui la maggior parte delle donne era ancora confinata soprattutto in cucina e in camera da letto. Il titolo messo in testa all’intervista che le feci per Il Messaggero era ricco di ottimismo: “Crede nella pace il capo delle soldatesse d’Israele”. La storia la smentirà. Potrebbe essere una dirigente d’azienda, una spigliata addetta alle relazioni pubbliche, come se ne incontrano un po’ ovunque nelle grandi compagnie internazionali, una maestra, una semplice madre di famiglia, una turista più elegante della media; ma resta difficile credere che la signora Stella Levi, snella e minuta, dal volto niente affatto autoritario e dalla voce calma e pacata, sia invece un’ufficiale superiore dell’esercito, comandante di tutta l’Armata femminile israeliana. Il colonnello Levi è stata a Roma soltanto per due giorni; veniva da Parigi ed era diretta all’Aja e poi in Svizzera, dove parlerà a un convegno organizzato dagli ex appartenenti alle forze ausiliarie femminili dell’esercito elvetico….
Non ho mai più incontrato il colonnello Levi nei tanti anni in cui ho frequentato Israele e seguito i numerosi conflitti tra arabi e israeliani. Morì nel luglio 1999. Ha assistito, dopo aver avuto un ruolo anche nel mondo della politica, alla firma degli accordi di Oslo sul prato della Casa Bianca, ma se fosse ancora in vita oggi non credo che sarebbe ottimista come appariva allora:
“Io, personalmente, sono convinta che è possibile una soluzione pacifica del conflitto arabo-israeliano. Io credo che non ci sarà più guerra. Non si può continuare a combattere in eterno. Non ha senso. La guerra non serve a far altro che logorare le economie e a paralizzare lo sviluppo del nostro paese e di tutto il mondo arabo.”