di Guia Soncini
La tassa sull’elemosina
La flat tax sulle mance pone fine al tacito accordo tra chi paga le tasse e poi fa la carità a chi non le paga, permettendogli di evadere. Siamo un paese popolato da così tanta gente onesta che certamente funzionerà benissimo
È la primavera del 2013, sono in un ristorante italiano di New York, a cena con un gruppo di italiani. Uno di noi è famoso, e quindi succede quella cosa che gli ingenui pensano sia cominciata a succedere coi #gifted e altri cancelletti, ma che è sempre accaduta: alla fine della serata, il proprietario si avvicina e annuncia a quello famoso che siamo suoi ospiti, che non dobbiamo pagare il conto.
È sempre la legge di Geri Halliwell, che se sei ricco e famoso e puoi permetterti tutto, è proprio allora che non ti viene chiesto di pagare quasi nulla. La fama è una valuta, e il ristoratore medio si sente onorato a offrirti la cena. Sono sempre i capponi di Renzo Tramaglino, ne abbiamo già parlato. E infatti oggi voglio parlare dei minuti successivi.
Quelli in cui, dopo che il famoso aveva detto al ristoratore «Grazie, ma permettimi almeno di lasciare una mancia ai ragazzi», ci eravamo resi conto che nessuno di noi aveva contanti. Chiunque abbia passato anche solo due giorni all’estero, specialmente negli Stati Uniti ma non solo, lo sa: arriva la ricevuta della carta di credito e tu, prima di firmarla, aggiungi la mancia sull’apposito rigo.
Non esci coi contanti per lasciare la mancia, perché la mancia la aggiungi al conto e ti viene addebitata sulla carta.
Solo che, se il conto non c’è, improvvisamente ti servono i rotoli di contanti del benzinaio. Anche perché, chiunque sia stato anche solo due ore negli Stati Uniti lo sa, quello è un paese in cui non fa il suo dovere il governo, che non fornisce ai cittadini assistenza sanitaria gratuita, non fanno il loro dovere gli imprenditori del turismo, che non pagano ai camerieri stipendi sufficienti alla sopravvivenza, non fa il suo dovere nessuno e ci si aspetta che i soldi dei ricchi colino sui poveri, nel caso dei ristoranti in forma di mance.
Insomma, con le mance al venti per cento, una cena come quella, che come minimo sarà valsa millecinquecento dollari, ne sarebbe valsi trecento e più che i camerieri si sarebbero spartiti tra di loro. Solo che noialtri avevamo portafogli ricchi di carte di credito ma che nel caso più fornito contenevano una banconota da dieci dollari. Li abbiamo messi insieme come quando andavamo a scuola, ma erano comunque pochissimi.
Ieri ho rievocato la storia con una delle commensali, che non se ne ricordava e mi ha detto che la mia ricostruzione non era plausibile: figurati se non siamo andati a prelevare a un bancomat. Già, perché nessuno ha pensato a prelevare? Non lo so, ma so che sono undici anni che ripenso a quanto ci avranno considerati pezzenti i camerieri: non solo cenano a scrocco, ma ci lasciano l’uno per cento di mancia, ’sti barboni.
Sono undici anni che penso di tornare in quel ristorante apposta per spiegare che è stato un equivoco, siamo brava gente, non apparteniamo a quella fascia di criminali sociali che gli americani tanto disprezzano: i bad tipper, quelli che lasciano poca mancia.
La ragione per cui ho rievocato il mio massimo trauma è che qualche giorno fa ero in treno quando sul telefono mi è comparso un tweet di Daniela Santanchè. Diceva così: «Le chiamano mance, ma la detassazione del 5% ai lavoratori del turismo vale 943 euro annui. Purtroppo ancora pochi la applicano, si preferisce dar poco spazio al buon governo».
L’articolo del Sole 24 Ore cui si riferiva dice che, secondo uno studio su 720mila dichiarazioni dei redditi di lavoratori dipendenti, questi 943 euro sono la media di tasse risparmiate da gente che ha ricevuto mance tassate non come reddito ma, secondo la legge di bilancio del 2023, al cinque per cento.
«Il prelievo del 5% riguarda le mance raccolte dal datore di lavoro – in contanti o con strumenti di pagamento elettronici – e poi riversate al lavoratore in busta paga». Ho molte domande. La prima e più importante è: i pos italiani non danno la possibilità di inserire la mancia, come fai a lasciare una mancia «con strumenti di pagamento elettronici»?
La seconda è: in Italia esistono gli stipendi, quindi di mancia lasciamo due spiccetti. Capisco che, uno spiccetto alla volta, il fattorino di JustEat cui do due euro guadagnerà più di me; faccio più fatica a credere che quei due euro li inserisca in dichiarazione dei redditi.
La terza è: ma fanno la dichiarazione dei redditi anche i mendicanti? Perché io ho poche certezze con cui arginare l’americanizzazione del mondo, e una di esse è che la mancia è un’elemosina. E invece il barista dichiara quei venti centesimi di resto del cappuccino che lasciamo sul bancone perché ci darebbero fastidio in tasca?
La quarta è: ma se tutti dichiarano tutto ciò che avviene in contanti – il barista i venti centesimi di resto che lasciamo sul bancone, il fattorino della pizza i due euro che gli diamo quando fa le scale al posto nostro, il cameriere i cinque euro che lasciamo dopo cena la sera in cui ci sentiamo generosi ma non certo americani – perché mai sosteniamo che i tassisti non vogliano il pos perché sono dei loschi evasori fiscali?
Poiché esiste un dio che è sceneggiatore, scesa dal treno è successo un mezzo miracolo: c’erano dei tassì al posteggio che c’è alla stazione dell’alta velocità di Bologna, quella sotterranea dove si perderebbe anche Bruce Chatwin, quella dove in genere ci sono cinquanta turisti straniti in fila e mai un tassì neanche per sbaglio.
Questo è il punto in cui un’altra vi direbbe che poi il tassista, anche se lo trovi, ti dice che non gli funziona il pos, ma io no, e sapete perché? Perché non ho mai avvisato un tassista che avrei pagato con la carta, e qualche volta (poche, va detto) quando alla fine gliela porgi sbuffano, ma non è mai successo che qualcuno si permettesse di dirmi che dovevo avvisarlo prima.
Ogni volta che leggo qualcuna (son sempre donne: sarà certamente un caso) che si lamenta che al preventivo annuncio di carta il tassista l’abbia scartata dalla clientela, penso: procuratevi un carattere, ragazze mie.
Però un miracolo è un miracolo, e in quella città ferma al 1986 trovare il tassì nei sotterranei era senza dubbio un miracolo, e meritava adeguata gratitudine. Che è aumentata quando il tassì è uscito dal sotterraneo e mi sono resa conto che su Bologna grandinava senza senso.
Quando siamo arrivati a destinazione, e io non avevo aspettato, non avevo preso la grandine, non mi ero innervosita, non mi ero rovinata i capelli, ero così miracolata che ho pensato di ricambiare: ho chiesto al tassista se preferisse, alla carta che gli stavo per allungare, cambiarmi cinquanta euro. E lui naturalmente preferiva.
Era un tacito accordo: io ti permetto di evadere le tasse su questi otto euro e quaranta, e tu quando scendo dal tassì non borbotti ma tu guarda questa stronza, potevo fare una corsa più lunga e fruttuosa, e invece è salita lei e mi ha pure pagato con la carta e ora ’sti otto euro mi fanno cumulo del reddito.
È un tacito accordo di quelli che ci rendono un paese che si regge sulla terzomondità: io, che le tasse le pago perché lavoro in un settore in cui non esiste il nero, permetto di evadere le tasse a te, che dovresti pagarle ma fai una vita talmente più di merda della mia che mi sento generosa e ti faccio la carità. E adesso arriva la Santanchè e mi dice che invece pure gli spiccetti d’elemosina vengono inseriti nella dichiarazione dei redditi.
Come potevamo aspettarci diversamente, dai ligi cittadini onesti che popolano questo paese.