«A Davigo ricordo: le prove si acquisiscono in dibattimento, non prima. Il resto è fuffa» (ildubbio.news)

di Giovanni Maria Jacobazzi

Parla Pieremilio Sammarco, avvocato e ordinario 
di diritto comparato all'Università di Bergamo

«E se Giovanni Toti al termine del processo risultasse innocente? Che succede? Nessuno mi pare porsi questa domanda», afferma Pieremilio Sammarco, avvocato e ordinario di diritto comparato all’Università di Bergamo.

Professor Sammarco, sull’istituto della custodia cautelare in questi giorni si è nuovamente scatenata la polemica politica. Qualsiasi tentativo di riformarla, come ha proposto il deputato di Azione Enrico Costa, è visto come un salvacondotto per i “famigerati” colletti bianchi.

La vicenda di Toti è emblematica e allo stesso tempo sconcertante: per mezzo di un provvedimento cautelare emesso da un solo giudice si è paralizzata, fino all’abbattimento, una giunta regionale votata da oltre 700mila persone. In caso di una sua assoluzione, come gli auguro, chi è responsabile? E soprattutto chi paga il costo dell’indizione di nuove elezioni? Nel primo caso, nessuno, nel secondo la collettività.

Soluzioni?

A mio avviso, per gli amministratori delle Regioni e delle città, andrebbe sospesa, per tutta la durata della carica, l’imputabilità per i reati connessi alla funzione svolta.

La presunzione di innocenza è garantita nel nostro Paese?

Purtroppo, constato che non solo non è garantita, ma il principio è stravolto. Vi è una presunzione di colpevolezza, ancor prima dell’inizio del processo. Penso alle conferenze stampa dei procuratori della Repubblica, ai servizi televisivi, agli articoli di stampa, per non parlare di quello che si legge sui social media. Pensiamo al caso di un innocente accusato di un reato che deve affrontare un pubblico ministero “mediatico”: per forza di cose è destinato a soccombere in questa lotta impari. Mi piace ricordare la frase di Larivière, autore del pamplet “Il circo mediatico- giudiziario”: “Il contatto con un’imputazione giudiziaria crea una sorta di malattia che, quando finalmente se ne viene a capo, lascia l’ammalato molto, molto debole”.

Piercamillo Davigo ieri sul Fatto Quotidiano ha criticato aspramente la riforma della custodia cautelare. Un commento?

Ho letto attentamente l’articolo di Davigo e, al di là, della sua volontà di stupire con frasi ad effetto, nel merito gli ricordo solo un principio cardine del nostro processo che sembra aver dimenticato: le prove si acquisiscono nel dibattimento con le dovute garanzie per l’imputato e non prima o al di fuori di esso. Il resto è folclore.

Come vede l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio?

Il mio giudizio è senz’altro positivo. Si trattava di una fattispecie di reato che prevedeva una condotta così fumosa ed astratta che ha prodotto effetti negativi nella pubblica amministrazione, incutendo negli amministratori pubblici il terrore della firma, provocando uno stallo, se non talvolta una paralisi, delle attività per non incorrere in problemi giudiziari.

Perché ci sono ancora tutte queste resistenze, soprattutto da parte della magistratura associata?

Conosco personalmente molti magistrati, i quali, per le ragioni esposte, sono favorevoli a questa abolizione; l’Anm è solo una voce, seppur rappresentativa, che si è dichiarata contraria; forse perché vuole mantenere il predominio dell’ordine giudiziario sulle attività della politica.

È vero, come affermano alcuni giuristi, che senza peculato per distrazione sarebbe rimasto un vuoto di sanzionabilità a causa dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio?

Non mi trova d’accordo. La verità è che le norme che prevedono i reati contro la pubblica amministrazione sono ormai diventate un bizantinismo giuridico che si prestano alle interpretazioni più svariate da parte della giurisprudenza. Si pensi che la Cassazione ancora si sta arrovellando – senza trovare soluzione – nel descrivere la differenza tra il reato di tentata corruzione e istigazione alla corruzione.

È necessaria una riforma complessiva dei reati contro la Pa?

Per le ragioni che dicevo, ritengo che sia improcrastinabile. Occorre eliminare o riformulare le norme che prevedono condotte così vaghe e indefinite che non garantiscono alcuna certezza del diritto e soprattutto prevedibilità in merito ai giudizi dei Tribunali. Mi riferisco al reato di traffico di influenze illecite, alle ipotesi del concorso esterno, al voto di scambio e così via.

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