Piccola posta
La tenacia con cui si chiede, si rivendica, si esige, che fascisti, neofascisti e postfascisti si dicano antifascisti richiama alla memoria una scena segnata dall’infamia e dalla tragedia
Credo di capire le buone intenzioni dei sinceri democratici che non fanno passare sera senza chiedere, rivendicare, esigere, da fascisti, neofascisti, afascisti e postfascisti al governo, di dichiararsi antifascisti. Le buone intenzioni urtano frontalmente contro la logica, e la politica si concede molte deroghe alla logica, alla morale e al resto.
Quella insistita domanda è retorica, certo, e non basterebbe che ricevesse la risposta auspicata, perché la faccia tosta è capace di tutto, e bisognerebbe interpretare con che risolino, e in che tono, e con quale ammiccamento, la frasetta sia stata pronunciata.
Ma quella insistita domanda mi richiama alla memoria una scena segnata dall’infamia e dalla tragedia, e il destino delle tragedie, oltre che di ripetersi in farse, è di ripresentarsi alla rovescia ridicolmente come in un perfetto carnevale. La scena è quella di un uomo, un lavoratore, un operaio, un bracciante, un professore, socialista, comunista, anarchico, cattolico, liberale, circondato da un manipolo di squadristi che gli legano le mani e il fondo dei calzoni e lo ingozzano di olio di ricino, e sghignazzano e gli urlano: “Di’ che sei fascista.
Di’: io sono fascista!” Ecco, nella versione del carnevale, ci sono persone beneducate e contegnose che dalle seggiole di una conversazione televisiva o dalle colonne di un giornale o da tutti gli altri luoghi deputati alla rivelazione di sé (quando non era carnevale c’erano pennelli, secchi e muri notturni, e uno a fare il palo) che chiedono, rivendicano, esigono dai fascisti, neofascisti, afascisti e postfascisti, di dire: “Io sono antifascista!” La legge del carnevale poi era di durare poco, e cedere alla resa dei conti. Che paragone del cazzo, direte. Infatti. Non è un paragone, è un incubo piccolo e passeggero.
Un cattivo ricordo.
Un promemoria per avvertire che, qualunque dichiarazione di antifascismo facessero le personalità suddette, non toglierebbe niente al fatto che sono andate al governo, secondo legge e costituzione, tre quarti di secolo dopo la liberazione.
E che la tenacia con cui si chiede, si rivendica, si esige, che si dicano antifascisti, somiglia alla proverbiale postura (ecco, per una volta ho usato anch’io questa paroletta irresistita) secondo cui: Ce le hanno date, ma gliene abbiamo dette!