L’imbarazzante distanza politica dell’Italia dall’offensiva ucraina in Russia (linkiesta.it)

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Fuori dall’Europa

Il governo Meloni ha immediatamente condannato l’attacco di Kyjiv sul territorio russo, nonostante l’Ue abbia sostenuto l’iniziativa militare.

Il rischio è che questo sia l’antipasto di un riposizionamento strategico, magari aspettando Donald Trump alla Casa Bianca

L’Ucraina che doveva cadere tre giorni dopo l’invasione dei carrarmati di Vladimir Putin, due anni e mezzo dopo è entrata lei in territorio russo. Il mondo libero dovrebbe esultare.

O perlomeno solidarizzare con la controffensiva di Kyjiv che in appena venti ore ha strappato ai russi tanto suolo quanto all’incirca essi ne hanno occupato nel corso di un’intera offensiva. Un blitz fulmineo che ha scatenato la rappresaglia russa nel Donetsk facendo morti e feriti ma l’offensiva ucraina non si è fermata.

La guerra è entrata in una nuova fase delicatissima e drammatica. Giustamente l’Unione europea a trazione democratica e antisovranista è a fianco dell’Ucraina – legittimo l’ingresso sul territorio russo –, con la Germania che ha assunto una posizione chiara: «Noi abbiamo dato le armi, l’Ucraina le usa come crede».

L’Italia invece è tornata l’Italietta che quasi chiede scusa per aver inviato armi a Kyjiv, armi per difendersi, armi che per carità non vengono utilizzate sul suolo russo: già, s’immagini un capitano ucraino in battaglia dire al suo sergente di non usare quelle armi perché sono italiane.

E allora c’è da chiedersi perché mai il ministro della Difesa Guido Crosetto, finora coerente con il pieno sostegno alle truppe ucraine, abbia detto che «nessun Paese deve invadere un altro Paese, è un principio generale valido non solo per la guerra in Ucraina».

Come se la controffensiva sul suolo del nemico fosse vietata. Come se gli Stati Uniti non avessero invaso la Normandia senza dimenticare, ha fatto notare l’analista Nona Mikhelidze, responsabile  di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali, che «l’Unione Sovietica, per difendersi, invase (giustamente) la Germania nazista».

Dice Crosetto che «se vogliamo arrivare alla pace non possiamo incentivare passi ulteriori di guerra che portino a un conflitto ancora più duro». Ma più duro de che? Qui la questione non è militare ma politica. Non si tratta solo della tradizionale cautela di Crosetto, un ministro che si ritrova in un governo pieno di amici di Putin e che spesso – secondo esponenti di primo piano dell’opposizione – parla troppo.

Molto duro il senatore democratico Filippo Sensi: «Passi indietro del governo italiano nel sostegno al diritto alla difesa ucraino sono un pessimo segnale. Per l’Europa, per la tenuta della coalizione internazionale che sostiene la resistenza dell’Ucraina contro la brutale aggressione russa. Intollerabile un nostro disimpegno».

Infatti il punto è che per la prima volta sull’Ucraina emerge una posizione italiana diversa da quella europea. Dal giorno in cui Giorgia Meloni votò contro la conferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea l’Italia si distingue dalla Ue con troppa facilità. È un fatto nuovo.

E il sospetto più inquietante è che le parole di Crosetto, al netto del suo protagonismo personale, preludano a un cambio di politica internazionale magari aspettando Donald Trump alla Casa Bianca, il vero spettro mortale che aleggia sulla testa del popolo ucraino. Ma se è così è bene che il Paese lo sappia.

Se stiamo mollando Kyjiv, anche per ragioni di facile ricerca di consensi, il governo lo dica chiaramente. O taccia.

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