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Cuore era il settimanale di resistenza umana diretto da Michele Serra in tempi in cui la sinistra di passioni pensava di averne viste troppe e mettendo sacchetti di sabbia a difesa del proprio essere tentava di non finire nel non essere.
Non è passata acqua sotto i ponti da quei tempi, ma diluvi, culturali, ideologici, politici. Per cui di umano c’è rimasto ben poco e stiamo precipitando nel disumano (non parliamo dell’essere, chi se lo ricorda più il cosa siamo… eh, davvero, ma cosa siamo?).
Allora, c’erano da fronteggiare i fischi ideali di Craxi (precedenti ma ben presenti e mancati, “ma se avessi saputo fischiare, avrei fischiato anche io…”) a Berlinguer, la corruzione dilagante (mai doma) la storia ingombrante del Pci e le sue contraddizioni, l’ipocrisia di una classe dirigente comunista giovane e meno giovane, quel che sarebbe venuto dopo, quel che si ipotizzava dovesse venire, e di fronte a cocenti sconfitte, con una sola unica certezza: moriremo democristiani.
Ma poi la Democrazia cristiana è morta da sé (anche il Pci e il Psi, ma pure il Pli, il Pri, il Psdi, si sono salvati di quella stagione solo i Radicali convocati da Pannella a congresso anche due volte l’anno per constatare l’esistenza in vita) ed è arrivato Berlusconi e il berlusconismo che ha inondato di sé tutta la società, o meglio ha riempito vuoti in una stagione politica di smarrimento ideale ed ideologico dove facevi fatica a trovare le ragioni della sinistra. Sinistrati, scrisse l’immenso Berselli (da leggere e rileggere oggi, sempre per quell’interrogativo lancinante, chi siamo…?).
Sembrava finita lì, perdenti, come sempre, tenuti in vita (e al governo) dal brodo dell’Ulivo e poi dell’Unione, con prodromi che poi hanno portato i molti protagonisti di allora (e anche i nemici) a definire quelle coalizioni un’accozzaglia. Poco è rimasto, se non le nostalgiche rievocazioni di Walter Veltroni, che, nel frattempo, per non farci mancare nulla, aveva importato dall’America le primarie per chiamare il partito degli eredi Pci e Dc riformati, Partito Democratico, di cui lasciò la guida poco dopo, con tutti i suoi amici a dirsi, e ora cosa ne facciamo di questa roba qua (lo dicono anche ora).
A dare una risposta robusta ci provò Renzi. Rottamiamoli tutti, rottamiamo tutto, aria nuova. E all’inizio sembrò che il popolo (ma dire popolo di sinistra cominciava ad essere un po’ impervio) fosse con lui. Nel 2014 l’apoteosi alle Europee. E l’uomo volle farsi partito senza partito, ideologo senza idee, stratega senza strategia e come alcuni suoi illustri predecessori echeggianti Napoleone tentò il passaggio nella Storia: la riforma costituzionale. La madre di tutte le sconfitte (non solo di Renzi, ma di tutti, le uniche poche riforme costituzionali passate finiscono con il tempo per non avere padri). E a Renzi restò solo l’invettiva e la narrazione nel vuoto dei suoi mille giorni (c’è sempre un numero epico).
Fino al marasma dei giorni nostri, quando alla vigilia di Ferragosto ti svegli assonnato e scopri che Di Maio fa lo statista e si incontra e parla con Zingaretti e Renzi per costruire qualcosa con gli antichi nemici, una volta quasi criminali da offrire alle cure del boia nelle pubbliche piazze … leggi tutto