L’acquaforte è prima di tutto una tecnica
incisoria indiretta, ed è naturale che lo
scrittore che intitoli così un proprio testo
intenda rimandare all’espressione
calcografica preesistente.
Prima di analizzare le acqueforti scritte da Roberto Arlt su Buenos Aires e diverse città dell’Andalusia e del Marocco settentrionale, conviene pertanto analizzare le caratteristiche del loro modello, le acqueforti incise con acido nitrico (in latino aqua fortis) su una lastra di zinco o di rame protetta dalla cosiddetta “vernice all’asfalto”, usando una punta d’acciaio più o meno stondata.
È una tecnica in bianco e nero che gli armaioli arabi usavano per decorare i calci e le impugnature delle loro armi, diffusa nel Medio Evo e ampiamente sviluppata da Albrecht Dürer, fu perfezionata dal Parmigianino nel Cinquecento.
Diffusasi in tutta Europa grazie alla libertà che concedeva all’artista inesperto, a differenza di altre tecniche che richiedevano un lungo tirocinio, l’acquaforte raggiunse il suo apogeo con Rembrandt, che ne incise oltre trecento.
Solo nel VIII secolo, tuttavia, oltre al paesaggio e alla veduta, gli incisori di acqueforti cominciarono a inserire riferimenti (acidi, per l’appunto) ai contrasti sociali che caratterizzavano il loro tempo, a usarle insomma per dire anche altro … leggi tutto