di Massimo De Giuseppe
Circa dieci anni fa ho pubblicato per un focus
sul pacifismo della rivista “Appunti di cultura
politica” una riflessione sui musei della pace e
sui ritardi italiani nel recepire e promuovere
l’idea1. In una fase di risveglio creativo,
stimolata in Italia dalla
creazione della Rete delle Università
per la pace,
il cui lancio ufficiale è previsto per il dicembre 2020, riprendo qui quell’articolo per aprire una riflessione intorno ad alcuni punti e proposte, aggiungendo una coda finale su alcune novità emerse nel corso dell’ultimo decennio.
Introduzione: i motivi di un ritardo
Se, una mattina d’inverno, di passaggio a Roma, un viaggiatore decidesse di entrare nel museo dell’Ara pacis, probabilmente proverebbe una strana sensazione. Superato un imponente atrio, si viene infatti investiti dalla luce che filtra in abbondanza dalle vetrate “all’americana” di Richard Meier. Una prigione trasparente che protegge ed esalta il monumento augusteo, gettando sui suoi marmi, vecchi di duemila anni, riflessi singolari che lo trasportano nella contemporaneità.
Secondo la Res Gestae, l’Ara pacis, inaugurata il 30 gennaio del 9 a.C., era la prima grande celebrazione della pax augustea, esaltazione delle istituzioni imperiali e del nuovo status ottenuto da Roma dopo le ultime campagne di Gallia e Spagna. Nel planisfero urbano della nuova Roma, il bianco monumento alla pax romana rappresentava infatti un elemento di novità, simbolico-religiosa oltre che politica. Il suo recinto ricordava un tempus minor a protezione di un importante spazio sacrale, una mensa marmorea, con un altare della pace che lanciava un segnale ad una società che si era basata sulla guerra come elemento di espansione esterna e di coesione interna.
Proprio per questo valore simbolico, l’imperatore si era opposto alla proposta del Senato di collocare l’Ara all’interno della curia: la parte settentrionale del Campo Marzio (il «luogo delle armi») esaltava la sua virtus di pacificatore e ridefiniva i termini della sua epifania pubblica.
Nei secoli successivi, specie dopo la fase della delocalizzazione dei poteri imperiali nelle capitali itineranti, l’interesse politico per il monumento augusteo andò gradualmente scemando, lasciando che questo venisse interrato sotto strati di pietra, acqua e sabbia che ne cancellarono temporaneamente la memoria.
La struttura, ritrovata solo nel XVI secolo, avrebbe dovuto attendere l’età giolittiana per i primi restauri organici e l’apogeo del fascismo per essere esposta, dentro una grande teca neoclassica, nell’attuale collocazione, tra via Ripetta e il lungo Tevere. Conclusa la guerra d’Etiopia, Mussolini la re-inaugurò in pompa magna nell’autunno 1938, a celebrazione di un nuovo, quanto mai effimero, impero. Passato un altro drammatico conflitto, il monumento conobbe varie vicissitudini, mantenendo a dir la verità un profilo piuttosto basso nell’impianto dei nuovi riti civili della patria, senza mai assumere allo status di simbolo della pacificazione faticosamente ottenuta dall’Italia repubblicana2.
Nella nuova sistemazione, varata solo nel 2006, è stata finalmente aggiunta un’articolata area museale, su due livelli, per mostre ed esibizioni … leggi tutto