Terzo fermo per la nave
Ordinato il terzo fermo per la Geo Barents dopo cinque salvataggi. Ong costrette a scegliere tra soccorrere in tempo e rischiare la confisca
(Foto di Msf)
La connivenza delle autorità italiane con i miliziani libici è tale che Roma, per poter tener lontane dal Mediterraneo centrale le navi di soccorso e lasciare senza testimoni le scorribande libiche sulle motovedette fornite dall’Italia, ha bloccato per l’ennesima volta in porto una nave di soccorso accusandola di non aver rispettato durante un salvataggio le norme – contrarie al diritto internazionale – del decreto Piantedosi.
E’ successo alla Geo Barents, di Medici senza frontiere. Accusata di non aver informato tempestivamente il Centro di comando delle capitanerie di porto di Roma durante la terza delle cinque operazioni di salvataggio fatte il 23 agosto.
E’ per questa nave il terzo fermo. Ed è la ventitreesima volta che una nave di salvataggio viene bloccata dopo un soccorso attraverso l’applicazione del decreto Piantedosi. L’imputazione è anche stavolta spudorata: aver messo in pericolo la vita dei naufraghi.
La Geo Barents ha salvato 191 naufraghi il 23 agosto, 191 persone che ora sono vive soltanto perché quell’equipaggio le ha prese a bordo prima che la banda di assassini della Guardia costiera libica le catturasse in mezzo al mare e le portasse nei centri di detenzione dai quali si esce soltanto pagando i miliziani se si sopravvive a stupri quotidiani, torture e violenze descritte in numerosi report dell’Onu e da chiunque sia uscito vivo da quelle celle.
E l’Italia lo accusa di aver messo a rischio la vita delle persone che ha salvato. E gli blocca la nave per due mesi, oltre alla multa, così da impedire alla Geo Barents di fare missioni di salvataggio per almeno due mesi.
Msf denuncia che l’accusa è costruita sulle informazioni fornite dalla Guardia costiera libica, cioè da una banda di miliziani assassini che vivono del traffico di migranti e dei nostri soldi. Ma intanto si ritrova la nave bloccata in porto.
“Nel cuore della notte – racconta Riccardo Gatti, responsabile del gruppo dei soccorritori – abbiamo visto persone che saltavano da una barca in vetroresina, che cadevano o venivano spinte in acqua. Non avevamo altra scelta se non quella di tirare fuori dall’acqua le persone il più velocemente possibile. C’era un pericolo imminente che annegassero o si perdessero nel buio della notte”. Dice Juan Matias Gil, capomissione di Medici senza frontiere: “Le autorità ci costringono a scegliere tra il salvataggio delle persone in mare e la prosecuzione delle attività. Ma la salvaguardia della vita umana è al centro della missione di Msf. Contesteremo questa detenzione illegittima seguendo le opportune vie legali. Siamo stati sanzionati per aver semplicemente adempiuto al nostro dovere legale di salvare vite umane. La Guardia costiera libica, finanziata dall’Ue e considerata un attore affidabile dall’Italia, è stata accusata dalle Nazioni Unite di complicità in gravi violazioni dei diritti umani in Libia. Parliamo di crimini contro l’umanità, di collusione con i trafficanti, nonché di essere responsabile di violenti respingimenti in mare”.
Quel che la flotta civile delle ong che pattugliano il Mediterraneo non dice quasi mai esplicitamente – perché il ricatto del decreto Piantedosi funziona – è che per tentare di evitare il fermo, la multa e, soprattutto, la confisca della nave che può scattare dopo alcuni fermi, spesso i responsabili delle navi di soccorso in mare aspettano il via libera al soccorso da parte del Mrcc di Roma anche quando il via libera non arriva subito.
E quasi mai arriva subito. In mare il tempo è prezioso, non si deve aspettare nemmeno un secondo a lanciare i gommoni di salvataggio quando si è avvistata una barca di naufraghi.
E invece, drammaticamente e inevitabilmente, spesso si aspetta. Non lo si dice volentieri, ma si aspetta. Per non farsi sequestrare la nave. Per evitare la confisca. Per scongiurare la possibilità che l’armatore, quando c’è un armatore, possa decidere di rescindere il contratto di affitto del mezzo. E perché una nave di soccorso bloccata in porto è una missione di salvataggio di meno, molti morti in più.
Morti che non contano. Persone che finiscono in fondo al mar Mediterraneo e di cui nessuno si occupa perché sono persone di cui non importa nulla a nessuno.