La resurrezione del nostro scassato bipolarismo, attraverso il Sì della piattaforma Rousseau agli accordi con i “partiti tradizionali”, viene data da tutti per scontata.
Ma spogliato della sua carica anti-sistema, di ogni regola anti-Casta, il M5S sembra un Udeur più grosso
Dice Nicola Zingaretti che l’accordo generale c’è, ma il Pd non sosterrà mai Virginia Raggi a Roma. In effetti, il piano per Roma sembra più machiavellico: affondare Virginia al primo turno – affidando alla città il compito di farla fuori – per portare al ballottaggio uno scontro destra-sinistra che dovrebbe consentire al M5S di accodarsi al candidato democratico senza traumi, dando l’idea che lo fa per il bene comune, per fermare i barbari alle porte, per salvare la Capitale dal ritorno di “quelli di parentopoli”.
Chissà se funzionerà. Chissà, soprattutto, se quando si arriverà al voto del 2021 per le grandi città il M5S esisterà ancora come forza elettoralmente significativa, capace se non di prendersi tutto – come accadde alle amministrative di cinque anni fa – almeno di determinare vittorie, di incidere sui risultati.
La resurrezione del nostro scassato bipolarismo attraverso il Sì della Piattaforma Rousseau agli accordi con i “partiti tradizionali”, nella fattispecie il Pd, viene data da tutti per scontata.
Ma il referendum grillino di Ferragosto conferma soprattutto la labilità e lo smarrimento della mitica base M5S, che solo nel 2018 votò in modo plebiscitario (98 per cento) a favore dell’accordo con Matteo Salvini e adesso, appena due anni dopo, si pronuncia a larga maggioranza (59,9 per cento) in favore di un blocco costruito all’esclusivo scopo di tagliare la strada al Capitano … leggi tutto