di Angelo Panebianco
Armi e non detto
Tifare sinceramente per l’uomo mingherlino aggredito da un feroce energumeno, e portargli anche ogni genere di assistenza, ma al tempo stesso pretendere che egli si difenda con un braccio legato dietro la schiena.
Italia e Ungheria sulle stesse posizioni sulla questione dell’uso delle armi da parte di Kiev non è un bel vedere. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ne converrà. Mentre la scelta dell’Ungheria è, a suo modo, limpida, chiarissima (Orbán è un sodale di Putin), quella italiana invece non lo è per niente. Dal momento che l’Italia è su posizioni atlantiche, sostiene militarmente Kiev fin dall’inizio dell’invasione e, bisogna dire, lo fa al meglio possibile per ciò che lo consentono le sue capacità.
E allora, come mai questo dissociarsi, questo smarcarsi platealmente da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, nonché dai vertici di Bruxelles? Chi, sforzandosi di farlo senza preconcetti e pregiudizi, legge le motivazioni che gli esponenti del governo responsabili portano a giustificazione dell’atteggiamento italiano vede crescere e non diminuire le sue perplessità.
C’è qualcosa di opaco, di non detto, in quelle dichiarazioni. L’impressione è che ci si arrampichi sugli specchi per giustificare una posizione che, quanto al merito, è ben poco difendibile. Se vuoi che l’aggredito a cui presti assistenza militare riesca a difendersi al meglio non puoi poi cavillare su come userà le armi che gli hai fornito.
C ome Biden, dopo molte esitazioni e qualche mal di pancia, ha infine riconosciuto. Che cosa c’è di «offensivo» anziché di puramente difensivo, nel colpire i siti missilistici posti in territorio russo da cui partono gli attacchi contro le città ucraine?
Che cosa c’è di «offensivo», anziché di puramente difensivo, nell’occupare porzioni di territorio russo allo scopo sia di alleggerire la pressione dell’aggressore in Ucraina sia di disporre di una merce di scambio per ottenere il ritiro di Putin dai territori ucraini occupati? Comunque la si rigiri, la posizione italiana — not in my name — non è sostenibile. E più si ribadisce il proprio sincero appoggio a Kiev più la contraddizione diventa palese.
Ci sono due possibili spiegazioni (fra loro non incompatibili) della posizione italiana. La prima è la spiegazione che possiamo definire «politicista». Nella coalizione di governo convivono atlantici, maggioritari, e filoputiniani (in minoranza). La posizione adottata — le armi fornite dall’Italia sono soggette a limitazioni nell’uso — è il punto di equilibrio entro la coalizione. Permette ai filoputiniani di non dissociarsi. Sia pure obtorto collo. Serve a garantire la stabilità della maggioranza e dell’esecutivo.
La seconda spiegazione ha a che fare con il tentativo del governo di mantenersi in sintonia con le correnti maggioritarie (o supposte tali) dell’opinione pubblica. Non c’è soltanto una robusta minoranza schierata con Putin. Anche molti di coloro che simpatizzano con Kiev vogliono essere riassicurati sul fatto che l’Italia, sostegno militare a Kiev a parte, non rischierà mai di essere coinvolta in un conflitto con la Russia.
A tutti costoro non è stato spiegato, o non è stato spiegato abbastanza, che se la Russia prevarrà in Ucraina (magari aiutata da un Trump alla Casa Bianca) non si fermerà. Rivolgerà in seguito la sua attenzione ad altri Paesi europei come pretende l’ideologia neo-imperiale da cui traggono legittimità Putin e il gruppo che lo circonda e che controlla il Cremlino. O Putin lo si blocca in Ucraina oppure non lo si ferma più.
E allora, per chiunque viva in Europa sarà difficile non essere coinvolto. Le opinioni pubbliche inglese e francese lo hanno compreso. Quella italiana no. O, per lo meno, questa sembra essere la valutazione del governo. Il che porta il governo medesimo ad accettare di patire, agli occhi degli alleati, un danno reputazionale, rendendo meno limpida una posizione che, dall’inizio della guerra in Ucraina, lo era, lo è stata a lungo.
Alla fine, tornano sempre a galla le differenti tradizioni nazionali. Un problema che non riguarda solo le diverse posizioni sul modo di sostenere l’Ucraina aggredita. Come sempre, pesa la storia e, per essa, la divisione fra le democrazie uscite vincitrici dalla Seconda guerra mondiale e le democrazie, Italia e Germania, nate per effetto della sconfitta bellica delle preesistenti dittature.
Mentre le prime non hanno mai perso di vista il fatto che bisogna essere pronti a usare la forza se le circostanze lo impongono, per difendere il proprio Paese e la sua democrazia (non c’è differenza in questo fra i conservatori britannici e i laburisti che li hanno appena sostituiti al governo), Italia e Germania, contando sulla protezione americana, hanno creduto che la questione non le riguardasse, che non sarebbero mai state messe nella condizione di doversi difendere, che non avessero bisogno di essere pronte ad usare la forza per rintuzzare eventuali minacce.
Molti italiani e tedeschi pensano di vivere ancora nel mondo di ieri, quando la sicurezza era scontata e garantita. Non è più così, ma tanti faticano ad accettarlo. È comprensibile. Ma è anche un’illusione pericolosa. Prima scompare e meglio è. Ad esempio, anche se sarà Kamala Harris a vincere le elezioni americane, gli europei, italiani e tedeschi in primis, saranno comunque costretti a svegliarsi, saranno chiamati a fare sacrifici, ad accettare lo spostamento di risorse nel settore difesa e sicurezza.
Non basteranno allora, da parte di chi governa, furbizie, contorsioni e funambolismi. Un risveglio troppo brusco dell’opinione pubblica susciterebbe reazioni scomposte .