di Mario Lavia
La lotta con la cerbottana
Il massacro di Poltava avrebbe potuto essere limitato o evitato armando nel modo giusto l’esercito di Kyjiv.
Per questo moralmente le morti di ieri, e dei giorni scorsi, sono anche una conseguenza dell’inazione degli alleati occidentali, a partire dal chiacchiericcio immorale del nostro Paese
Non sappiamo se tecnicamente il massacro di Poltava avrebbe potuto essere evitato rafforzando per tempo la difesa ucraina. Sappiamo però che moralmente quei morti sono anche l’effetto della ignavia-ipocrisia-incapacità dei governi alleati di Kyjiv.
Tra cui svetta, in bassezza, quello italiano. Che è quello che insieme al regime ungherese più di tutti sta dando al mondo l’impressione di mollare. Guido Crosetto giura che stiamo facendo tutto il possibile. Se è vero, vuol dire che bisogna fare l’impossibile.
Mosca ha colpito Poltava, che come ci ha raccontato Yaryna Grusha, che c’era stata poche settimane fa, è una città piena di giovani, ricca di energie, un posto accogliente, «un po’ come l’Emilia-Romagna» – ci ha detto. Una città dalla lunghissima storia, ai primi del Settecento i cittadini di Poltava combatterono contro Pietro il Grande, “antenato politico” dello zar Vladimir Putin.
Il quale sta vigliaccamente approfittando di una maledetta congiura della storia: l’offensiva russa cade non a caso mentre la Germania di Olaf Scholz piega le ginocchia sotto i colpi di nazisti e comunisti uniti nella lotta contro l’Ucraina e la Francia di Emmanuel Macron non riesce a trovare la strada – anche qui c’entra il doppio estremismo nero-rosso – per riprendere il suo posto di combattimento a fianco del popolo ucraino.
Con il governo Meloni che sdottoreggia come un Azzeccagarbugli fuori dal tempo nelle distinzioni da Stranamore tra armi difensive e armi offensive, il famoso vagone con Mario Draghi, Scholz e Macron diretti a Kyjiv è una foto sempre più ingiallita.
Per fortuna, in assenza della sinistra, si muovono gli intellettuali, i giornalisti. Alcuni almeno. Ieri Angelo Panebianco ha scritto sul Corriere della Sera un articolo inattaccabile: «L’impressione è che ci si arrampichi sugli specchi per giustificare una posizione che nel merito è ben poco difendibile. Se vuoi che l’aggredito a cui presti assistenza militare riesca a difendersi al meglio non puoi poi cavillare su come userà le armi che gli hai fornito».
Chiarissimo. E Augusto Minzolini, che pure non è certo un avversario di questo governo, ha osservato sul Giornale che «la classe politica avrebbe potuto o potrebbe unirsi su ben altro, non certo su una posizione per nulla encomiabile dal sapore pilatesco», toccando qui il nervo maleodorante della sostanziale unità tra governo e opposizioni (tranne un redivivo, per questa occasione, Terzo Polo).
Le flebili e a questo punto valorose prese di posizione di alcuni parlamentari dem non possono essere in alcun modo la foglia di fico per nascondere l’ignavia, se non peggio, del gruppo dirigente del Partito democratico, tra l’altro abbastanza isolato nel Partito socialista europeo che pretende di guidare.
Come al solito, quando è in difficoltà il Nazareno non entra nel merito delle questioni. Basterebbe rispondere alla domanda che abbiamo tante volte fatto su Linkiesta e che ha posto Marco Mayer sul Riformista: «Per salvare le persone, le case, gli ospedali, le scuole e le infrastrutture energetiche le batterie di difesa aerea devono essere in grado potere intercettare (e possibilmente distruggere) il prima possibile i micidiali vettori di morte. Per questo parlare di “confini” è una assurdità tecnica. Si dovrebbero forse fermare i mezzi antimissili in volo verso i loro bersagli in cielo a metà strada?».
Persino una giornalista solitamente benevola con Elly Schlein, cioè Annalisa Cuzzocrea, ha domandato sulla Stampa come mai i riformisti dem non chiedano una discussione chiara su una domanda: «Fino a che punto il Pd sostiene l’Ucraina?».
Questa è la esattamente la questione che va posta a Meloni e a Schlein. Loro sono unite nella lotta ai criminali di Mosca, ma con la cerbottana.