Non è vero che l’Ue chiede di dare l’assegno unico a tutti gli immigrati (pagellapolitica.it)

di Davide Leo

Unione europea

Lo ripete Giorgia Meloni, che contesta le critiche della Commissione europea al sostegno per le famiglie con figli. Vediamo come stanno davvero le cose

Negli scorsi giorni la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha smentito l’indiscrezione, pubblicata il 29 agosto dal quotidiano la Repubblica, secondo cui la prossima legge di Bilancio per il 2025 taglierà il cosiddetto “assegno unico e universale”. In un video pubblicato sui social network, Meloni ha dichiarato che il suo governo «sta dando battaglia in Europa» per difendere la misura di sostegno alle famiglie, «visto che la Commissione ci dice che dovremmo darlo anche a tutti gli immigrati che esistono in Italia».
Secondo la presidente del Consiglio, questa richiesta «vorrebbe dire, di fatto, uccidere l’assegno unico». Meloni è tornata sulla questione il 30 agosto, durante un Consiglio dei ministri, parlando di «modifiche folli, ingiuste per le famiglie italiane e insostenibili per l’equilibrio dei conti dello Stato», avanzate da «qualche zelante commissario europeo».
No, il Governo Meloni non abolirà l’assegno unico nella prossima legge di bilancio. Diffidate dalle fantasiose ricostruzioni su una Manovra ancora da scrivere. Noi continuiamo a lavorare per un’Italia migliore e più giusta, dopo anni di disastri della sinistra. pic.twitter.com/P5nexwK0j3

«L’assegno unico non si tocca e nessuno lo ha ipotizzato. Mai stato in agenda. Semmai dobbiamo opporci ai ritocchi chiesti dall’Europa: non si può dare anche agli immigrati, non è sostenibile», ha detto il 1° settembre il leader di Forza Italia Antonio Tajani in un’intervista con Il Messaggero.

Ma è vero che alla Commissione europea non piace l’assegno unico italiano così come è strutturato ora, e che per questo vorrebbe addirittura “ucciderlo”? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sulle parole di Meloni e Tajani per capire che cosa c’è di vero, e che cosa no, nelle loro accuse.

L’assegno unico e i suoi beneficiari

L’assegno unico e universale, più spesso chiamato “assegno unico”, è stato introdotto a dicembre 2021 dal governo Draghi, sulla base di una legge delega approvata dal Parlamento a marzo dello stesso anno, ed è entrato in vigore nel 2022. In quel periodo, nonostante fosse all’opposizione in Parlamento, Fratelli d’Italia aveva votato a favore della legge che ha delegato il governo a introdurre la misura di sostegno alle famiglie.

Come suggerisce il nome, l’assegno unico e universale è diretto a tutte le famiglie con figli a carico, indipendentemente dalla condizione lavorativa dei genitori (occupati e disoccupati) e senza un limite massimo di reddito. L’importo dell’assegno varia comunque in base all’Isee della famiglia richiedente, se i figli sono minorenni o no, e sono previste maggiorazioni in caso di figli con disabilità, di madri di età inferiore ai 21 anni, di nuclei familiari numerosi e di altre situazioni particolari.

Con la legge di Bilancio per il 2023 il governo Meloni ha alzato del 50 per cento l’importo dell’assegno unico per i nuclei con figli minori di un anno di età e per quelli con quattro o più figli a carico, e ha aumentato di quasi 3 miliardi di euro i finanziamenti della misura per gli anni 2023, 2024 e 2025.

Secondo i dati Inps più recenti, nei primi sei mesi del 2024 hanno beneficiato dell’assegno unico 6,2 milioni di famiglie, con 9,8 milioni di figli, per un importo erogato complessivo pari a quasi 10 miliardi di euro (gli stanziamenti per tutto il 2024 ammontano a 18,7 miliardi di euro). A giugno l’importo dell’assegno mensile è stato in media pari a 170 euro a figlio.

Le critiche della Commissione Ue

A febbraio 2023 la Commissione europea ha inviato una lettera al governo italiano sostenendo, in estrema sintesi, che l’assegno unico viola le norme europee e discrimina i lavoratori stranieri, in particolare quelli comunitari. Questa lettera è il primo passaggio dell’apertura di una procedura d’infrazione, lo strumento con cui l’Unione europea fa rispettare il proprio diritto agli Stati membri. A novembre 2023 la Commissione Ue ha ribadito la propria posizione, inviando un parere motivato a cui il governo italiano non si è adeguato.

Per questo motivo, lo scorso luglio la Commissione Ue ha presentato un ricorso contro l’Italia davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, l’organismo indipendente che deve far rispettare in modo omogeneo il diritto europeo nei 27 Paesi Ue. Ma entriamo più nel dettaglio nelle critiche della Commissione Ue per capire se è vero, come dicono Meloni e Tajani, che il governo dovrebbe dare l’assegno unico a tutti gli immigrati.

In base alle regole attuali, per richiedere l’assegno unico e universale bisogna rispettare alcuni requisiti: essere cittadini italiani o di un Paese Ue, oppure di un Paese non europeo, in possesso del permesso di soggiorno lungo periodo, ossia lungo dieci anni, o di un permesso di lavoro per un periodo superiore a sei mesi; pagare le imposte sul reddito in Italia; essere residente o domiciliato in Italia; e aver risieduto nel nostro Paese per almeno due anni, non per forza continuativi, oppure avere un contratto di lavoro di durata superiore a sei mesi.

Secondo la Commissione Ue, questi criteri non rispettano il diritto europeo, e in particolare violano il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) e due regolamenti. Per questo motivo l’assegno unico – per come è stato concepito dal governo Draghi – «non tratta i cittadini dell’Ue in modo equo, il che costituisce una discriminazione».

Il Tfue prevede (art. 45) «l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro». Per la Commissione Ue, l’assegno unico viola questo principio, dal momento che il requisito dei due anni di residenza in Italia rappresenta una discriminazione nei confronti delle famiglie di cittadini Ue che si sono trasferite da poco nel nostro Paese per motivi di lavoro.

Nel comunicato con cui la Commissione Ue ha fatto ricorso contro l’Italia alla Corte di giustizia dell’Ue, è specificato che «in base al principio di parità di trattamento» stabilito dal Tfue i lavoratori transfrontalieri dell’Ue «che lavorano in Italia senza risiedervi, coloro che si sono trasferiti di recente in Italia o coloro i cui figli risiedono in un altro Stato membro, dovrebbero ricevere le stesse prestazioni familiari degli altri lavoratori in Italia».

Le disposizioni previste dal Tfue sono riprese in altri due regolamenti europei, anche questi citati dalla Commissione Ue nei documenti sulla procedura d’infrazione. Ricordiamo che i regolamenti europeo sono atti legislativi vincolanti e si applicano direttamente, senza distinzioni, in tutti e 27 gli Stati membri. Il primo regolamento è del 2011, è dedicato alla libera circolazione dei lavoratori e stabilisce (art. 7, comma 2) che un lavoratore cittadino di uno Stato membro dell’Ue che si trova in un altro Stato membro «gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali».

Il secondo regolamento è del 2014 e riguarda il coordinamento tra i 27 Paesi Ue dei sistemi di previdenza sociale. Questo regolamento stabilisce (art. 4) che i lavoratori europei «godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato».

Secondo la Commissione Ue, sulla base di questo regolamento, anche i lavoratori transfrontalieri «dovrebbero essere trattati allo stesso modo dei cittadini dello Stato membro in cui lavorano, e hanno diritto allo stesso livello di prestazioni familiari, anche per i figli a carico che risiedono in modo permanente in un altro Stato membro».

Ricapitolando: la Commissione Ue sostiene che a oggi l’assegno unico svantaggia alcune famiglie che in base alle norme europee dovrebbero poterlo ricevere.

La posizione del governo

Il governo Meloni è contrario all’allargamento della platea di possibili beneficiari dell’assegno unico: secondo la presidente del Consiglio e secondo i partiti di maggioranza, se si togliesse il requisito dei due anni di residenza in Italia, aumenterebbero le famiglie destinatarie del sussidio e di conseguenza salirebbero in modo insostenibile anche le spese dello Stato per finanziare la misura.

Ma se fossero accolte le richieste della Commissione Ue, davvero dovrebbero beneficiare dell’assegno unico tutti gli «immigrati» presenti in Italia, come ha detto Tajani, e non solo quelli provenienti da Paesi Ue? Oppure ci sarebbero ancora dei paletti?

«Il trattato europeo e i regolamenti citati dalla Commissione nella procedura di infrazione si rivolgono ai lavoratori comunitari: su questo non c’è dubbio», ha spiegato a Pagella Politica una fonte interna alla Corte di giustizia dell’Ue, che ha preferito restare anonima. «Secondo i regolamenti, tra i lavoratori dell’Ue non ci possono essere discriminazioni: in pratica la Commissione dice che un francese che domani si trasferisce in Italia per lavoro deve da subito godere degli stessi diritti di un lavoratore italiano, senza dover aspettare di risiedere nel nostro Paese per due anni».

Al tempo stesso, ci è stato spiegato che i documenti in questione riguardano nello specifico «i diritti dei lavoratori europei, dei rifugiati e delle loro famiglie», senza includere esplicitamente i lavoratori immigrati provenienti da Paesi non europei. Dunque, in base a quanto richiesto dalla Commissione Ue, il governo italiano dovrebbe togliere i vincoli della residenza solo per i cittadini comunitari, ossia quelli provenienti dagli altri 26 Stati Ue, e non per tutti.

La questione comunque non è ancora stata definita del tutto, tant’è che su questa vicenda è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di giustizia dell’Ue. Vari Stati non europei, come l’Albania e il Marocco, hanno firmato accordi con l’Ue per fare in modo che i loro cittadini possano avere diritto «alle stesse condizioni di lavoro dei cittadini del Paese d’accoglienza».

Di conseguenza, secondo il governo italiano, potrebbe succedere che, allargando la platea dei beneficiari ed eliminando dal testo il requisito dei due anni in Italia, oltre ai cittadini degli Stati Ue il sussidio potrebbe raggiungere “a cascata” anche alcuni lavoratori extracomunitari.

«Questo in linea di massima è possibile, ma bisogna vedere bene che cosa dicono i singoli accordi con gli Stati», ha spiegato la fonte interna alla Corte di giustizia dell’Ue. «In ogni caso non ci sono dubbi che i regolamenti citati, così come il trattato fondativo, siano pensati per i cittadini Ue e non si estendano mai automaticamente» a tutti gli altri lavoratori.

Al momento non esistono stime ufficiali né su quanto aumenterebbe la platea dei beneficiari se il governo italiano cedesse alle richieste dell’Ue né su quanto dovrebbero aumentare gli stanziamenti per finanziare l’assegno unico.

Se la Corte di giustizia dell’Ue accerterà che lo Stato italiano sta violando il diritto europeo, il governo Meloni sarà tenuto a prendere provvedimenti e modificare l’assegno unico. Se la sentenza non sarà rispettata, l’Italia potrà essere sanzionata con una multa.

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