Draghi è così filo Usa da volere un’Europa capace di difendersi (italiaoggi.it)

di Luigi Chiarello

In un tempo non lontano, ma distante dai refrain 
politici attuali, quando si alludeva alle 
“riforme imposte dall'Europa” si usava dire: 
“L'Italia deve fare i compiti a casa”. 

Dopo aver letto le 327 pagine di Mario Draghi sulla competitività dell’Unione europea, oggi si può dire che anche l’Europa deve fare lo stesso.

E non sono sfide da poco. Tra i numerosi spunti offerti dall’ex governatore Bce, ne emerge uno, rimasto basso nelle cronache, fatale per il futuro dell’Ue: la riforma della governance, a cui è connessa la sovranità in fatto di difesa e politica estera.

L’ex presidente del consiglio chiede a Bruxelles più sussidiarietà (cioè, potere agli stati) in fatto di fisco, politiche sociali, educazione, sanità, politiche migratorie: le norme Ue rischiano di creare oneri eccessivi e burocrazia inutile, scrive. C’è il rischio che l’armonizzazione, seppur necessaria, delle politiche fiscali, se fatta in modo invasivo, inneschi conflitti con la sovranità degli stati.

Per questo, l’ex premier suggerisce di lasciare ai paesi la tassazione sulle imprese o le imposte sul reddito. Idem per le politiche industriali e di concorrenza: quando sono intrusive soffocano innovazione e competitività. Mentre, le politiche migratorie andrebbero tarate da ogni stato in base alle “proprie situazioni economiche e sociali”, in seno a una “gestione comune delle frontiere esterne dell’Ue”.

Detto ciò, Draghi dice che l’Unione dovrebbe dotarsi di un nuovo bazooka da 800 mld di euro l’anno (4,7 punti di Pil), da alimentare con “emissione di asset comuni privi di rischio (cioè debito comune ed eurobond)”, per finanziare investimenti pubblici extra su digitale, economia verde, infrastrutture, difesa. E qui tocca un nodo dolente: “L’Ue deve percorrere l’autonomia strategica, accrescere la propria influenza geopolitica e rispondere a un contesto più instabile lungo i confini”, scrive.

In pratica, deve darsi una difesa comune (con buona pace dell’esclusività della Nato). Ma la spesa aggregata dell’Ue in difesa è un terzo di quella Usa e l’industria di settore è frammentata. Nel 2022 meno di un quinto degli investimenti pubblici in materia è passato da appalti unitari. E tra metà 2022 e metà 2023, il 78% della spesa totale in appalti ha finanziato fornitori extra-Ue (per il 63% Usa).

A livello nazionale, poi, accade che, nonostante i proclami del cancelliere Olaf Sholz, la Germania abbia accelerato i suoi investimenti in difesa solo a fine 2023. Lo rivela l’ultimo report dell’Istituto Kiel per l’economia mondiale (IfW Kiel del 9/9/2024).

Di questo passo: “Ci vorranno 100 anni prima che l’esercito tedesco riacquisti il livello di equipaggiamento che aveva nel 2004”, si legge. Draghi col suo report ha sfatato tre pregiudizi: non è centralista, è keynesiano più che liberista, ed è così schiavo degli Usa da volere un’Europa che si difende da sé.

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