Le scelte che restano da fare in un Paese ancora sospeso (corriere.it)

di Antonio Polito

L’Italia ha bisogno di avvertire fermezza 
di intenti, unità sulla direzione di marcia. 

Ma non emerge ancora una visione di ciò che dovrà diventare dopo la catastrofe

Chiudere è più facile che aprire. Tenere la gente in casa è più facile che organizzarne l’uscita. Non vogliamo essere ingenerosi, e attribuire solo a questa elementare verità il fatto che, dopo aver gestito l’emergenza in modo convincente, il governo non riesca ad uscire dall’emergenza, pur avendone chiesto e ottenuto i poteri. Il bilancio dei mesi terribili della pandemia, il tributo altissimo di vittime e gli errori commessi soprattutto nei primi giorni, non consentono certo autocompiacimenti ingiustificati.

Ma bisogna dare a Cesare ciò che è di Cesare, e riconoscere che il «poco possibile» — per usare una felice espressione di Giuliano Ferrara — è stato fatto. Ora però i margini di azione si sono ampliati, non siamo più stretti alla gola dal virus, il nemico è ancora lì fuori che ci aspetta, sì, ma abbiamo mezzi per difenderci, tempo per i controlli, spazio negli ospedali. Il peso delle circostanze, questo terribile macigno dei governi, non ci schiaccia più.

Proprio per questo il possibile non è più poco. Il nostro destino è tornato nelle nostre mani: ci salveremo dalla seconda ondata, ci risolleveremo come nazione, rilanceremo la nostra economia, a seconda se prenderemo le decisioni giuste o sbagliate.

Abbiamo passato mesi in cui eravamo senza scelta. Ora è arrivato il tempo in cui non possiamo non fare scelte. Ed è qui che il governo sta bruciando il capitale di credibilità fin qui acquisito … leggi tutto

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