di Aldo Grasso
Padiglione Italia
«In galera, in galera!», gridava Giorgio Bracardi. Rischia la galera chi occupa abusivamente una casa, chi blocca una strada o una ferrovia (già battezzata «norma anti-Gandhi»), chi commette misfatti nelle adiacenze di una stazione ferroviaria.
Il provvedimento in esame alla Camera, fortemente voluto dal governo Meloni, ha introdotto nuovi reati, aggravanti, inasprimenti di pene e criminalizzazione del dissenso. Il ddl Sicurezza inserisce nel Codice penale anche un nuovo articolo, il 415-bis, denominato «rivolta all’interno di un istituto penitenziario», prevedendo come pena base la reclusione da due a otto anni.
In galera, in galera! Alcuni giuristi parlano di «populismo penale», di «riforma forcaiola» (iniziata con le sanzioni contro i rave-party), di «manettismo elettorale». Formalizzare nuovi reati non costa nulla ma permette ricavi propagandistici e rafforza una concezione autoritaria e divisiva dello Stato.
A parte mettere in discussione i principi fondanti della civiltà giuridica del nostro Paese (la certezza della pena non va confusa con la certezza del carcere), queste proposte giustizialiste non tengono nemmeno conto dell’esplosiva situazione carceraria, dove condizioni di vita inumane contribuiscono significativamente al deterioramento della salute mentale e fisica dei detenuti.
Perché non punire anche chi si suicida?