Le ambiguità (e i pasticci) sull’Ucraina (corriere.it)

di Roberto Gressi

Armi e voto

L’Italia titubante. Il Parlamento europeo ha detto sì a una risoluzione di sostegno all’Ucraina che contiene un punto chiave: Kiev potrà usare le armi occidentali per colpire le basi in Russia dalle quali partono gli attacchi al suo territorio sovrano.

Quello che segue, per quanto riguarda le delegazioni del nostro Paese, è a metà tra un pasticcio e uno scioglilingua.

F ratelli d’Italia si è pronunciata per il no, su quel passaggio, chiedendo che siano le singole nazioni a scegliere. No anche dalla Lega, e da Forza Italia, che si è distinta dal Partito popolare europeo, ad eccezione di Massimiliano Salini. No con divisioni dal Pd, con il sì di Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini, e con un’area riformista insoddisfatta che non vota.

No, più scontato, da Cinque stelle, Verdi e Sinistra. Poi ecco il voto finale, che anche quel punto contiene. E allora sì da FdI e Forza Italia, no della Lega, sì del Pd, ovviamente riformisti compresi, con Cecilia Strada e Marco Tarquinio astenuti. Di nuovo no per Cinque stelle e per Verdi e Sinistra, mentre Carlo Calenda diceva sì giusto per la platea, perché il terzo polo non esiste più e non ha rappresentanti in Europa. Il tutto con buona pace del campo largo.

Spericolato sostenere che si sia dato il via libera a bombardare i russi. Ed è difficilmente argomentabile che si sia di fronte a una guerra per procura dell’Occidente contro Mosca. Quando l’intelligence Usa ebbe chiaro che Putin non si sarebbe fermato, Joe Biden offrì a Volodymyr Zelensky una via di fuga verso un Paese amico. Fu lui a dire di no, con il sostegno dell’Ucraina tutta, quell’Ucraina che secondo la propaganda di Putin si sarebbe affrettata ad accogliere i soldati russi come liberatori.

Quella di Strasburgo non può essere una scelta a cuor leggero, sarebbe da irresponsabili. E l’ambiguità italiana non può essere semplicemente tacciata di vigliaccheria. Anche perché il sostegno dei partiti principali all’Ucraina non viene certo meno, pur scontando un’evidente timidezza. Il rischio della minaccia nucleare, più volte sbandierata da Mosca, non è una preoccupazione da liquidare con un’alzata di spalle.

A condizione però di non perdere i punti cardinali di questa tragedia, che attanaglia l’Europa e il mondo ormai da due anni e mezzo, ed ha già fatto oltre un milione tra morti e feriti. C’è un aggressore e c’è un aggredito, che si difende con le unghie e con i denti, che protegge il suo Paese invaso e devastato. Permettergli di cercare di fermare gli attacchi lì da dove partono non è un sostegno alla difesa?

A meno che non si ritenga che sia Kiev a voler invadere e conquistare Mosca. In un orrore di queste dimensioni il grottesco non è consentito. Senza contare che lo stesso via libera a Kiev di estendere il raggio della sua difesa può aiutare a far capire a Putin che lui pure una via d’uscita dovrà cercarla.

Nella risoluzione del Parlamento europeo c’è anche un punto che, più di altre volte, pone la questione di arrivare con urgenza ad un tavolo di trattativa per la pace. Anche l’Italia deve, dovrà, porsi il problema di quale sia il percorso per far tacere le armi. Una strada è l’unica che Putin sembra voler vedere: annettersi parte del territorio, dopo aver dovuto rinunciare a prenderlo tutto, grazie alla resistenza. L’altra è rifiutare la resa incondizionata e trattare senza essere succubi.

La risoluzione approvata ieri non è vincolante per gli Stati. Il rispetto dell’autonomia nazionale non è da liquidare come se fosse una stupidaggine. Si aprono spazi di riflessione. Ma ci sarà un motivo se i Paesi europei, ognuno per sé, spendono cifre enormi per la Difesa e invece, tutto insieme, il continente è quasi insignificante. L’allarme di Mario Draghi, su un’Europa sbriciolata che mette in dubbio la sua stessa esistenza, vale in tutte le direzioni.

Non è un bene, ovviamente, che in Italia maggioranza e opposizione, su un tema così importante, non sappiano marciare unite in modo più lineare. C’è sì un Paese giustamente stanco di guerra, ma c’è anche l’impressione che ragioni elettorali di bottega abbiano un peso crescente.

Ma c’è una generazione di europei che ha l’occasione straordinaria di chiudere i conti con il Novecento. Un secolo di grandi conquiste, soffocate dalla pretesa di schiacciare la libertà dei popoli.

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