Così l’Ucraina ha ribaltato la situazione, anche se l’Occidente non se n’è reso conto (linkiesta.it)

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Lo stato della guerra

L’avanzata dei soldati di Kyjiv in territorio russo ha mostrato tutte le fragilità della struttura di comando di Mosca. Ma il conflitto prosegue, Putin non si fermerà e il mondo libero non può smettere di sostenere chi da due anni e mezzo lotta per proteggere la nostra libertà

Da quando la Russia ha aggredito la Georgia nell’agosto 2008, e in modo più drammatico da quando ha iniziato l’invasione su vasta scala dell’Ucraina a febbraio 2022, Vladimir Putin ha dimostrato di seguire fedelmente il celebre assioma di Caterina la Grande: «Non ho altro modo per difendere i miei confini se non espanderli». L’offensiva ucraina di Kursk ha esposto il punto debole di questo approccio. Due anni e mezzo di guerra contro l’Ucraina hanno lasciato il territorio russo pericolosamente indifeso.

Non è la prima volta che questo problema viene alla luce. Nel giugno 2023, la “marcia per la giustizia” di Yevgeny Prigozhin ha esposto l’apertura del territorio russo alle incursioni e all’effetto sorpresa. Di certo, Prigozhin non è entrato in Russia alla testa di un esercito straniero. Resta il fatto che nelle due settimane successive al lancio dell’operazione Kursk il 6 giugno, l’Ucraina ha conquistato più territorio russo di quanto la Russia sia riuscita a conquistare in tutta l’Ucraina tra gennaio e luglio.

Indipendentemente da cosa accadrà adesso, l’operazione Kursk ha cambiato le carte in tavola sotto almeno due aspetti. Finora, l’istruzione accademica sovietica del comandante in capo delle forze armate dell’Ucraina, il colonnello generale Oleksandr Syrsky, è stata ampiamente criticata (al contrario, il background di istruzione militare del suo predecessore, Valery Zaluzhny, è interamente ucraino).

Non è un caso che Syrsky sia un laureato della Moscow Higher Command Combined Arms Command School, perché l’incursione di Kursk è un’operazione composita e ben eseguita. Anzi, è stata una sorprendente applicazione di quel che era palesemente mancato nell’offensiva ucraina dell’estate 2023: il coordinamento di artiglieria, droni, mezzi corazzati, difesa aerea, fanteria, intelligence (Isr) e forze speciali.

Non da ultimo, è stato un classico esempio di manovra operativa: un audace attacco attraverso il punto debole della linea nemica alle spalle del suo schieramento. Infine, l’operazione è stata concepita ed eseguita sfruttando l’elemento della sorpresa (il che significa che, mentre il nemico vedeva molto di ciò che stava accadendo, non poteva leggerlo e anticiparlo). L’ultima applicazione di questi principi è stata la controffensiva di Kharkiv del settembre 2022, comandata anch’essa da Syrsky. In altre parole, il lungo ciclo di guerra di logoramento è stato interrotto.

Il secondo assunto completamente ribaltato dall’offensiva di Kursk è la convinzione che Putin abbia ripristinato un modo di fare guerra sovietico, basato sulla preponderanza di massa e risorse, quello che aveva portato alla vittoria nel 1945. Che abbia provato a fare qualcosa del genere è abbastanza chiaro.

Da Bakhmut (caduto nel maggio 2023) ad Avdiivka (febbraio 2024) agli approcci di Pokrovsk, la caratteristica distintiva delle offensive russe è stata la loro forza inesorabile, sostenuta da superiorità in materiali e manodopera, e completata dalla distruzione gratuita di città e infrastrutture ucraine. Inoltre, almeno a quanto pare, l’approccio di Putin, come quello di Stalin, sembra non tener conto delle vittime tra le sue fila.

Secondo l’intelligence della difesa britannica, la Russia sta subendo quasi milleduecento vittime al giorno (ad agosto), paragonabili a quelle dell’esercito imperiale russo nella Prima guerra mondiale, e ha probabilmente subito oltre seicentodiecimila vittime da febbraio 2022.

Tuttavia, i più importanti studiosi della Grande Guerra Patriottica trarranno lezioni diverse. Le forze dell’Asse non furono sconfitte dal logoramento e da avanzamenti graduali, ma da offensive audaci e operazioni di accerchiamento: Stalingrado, Jassy-Kishinev e Vistola-Oder, per citarne solo tre. Queste furono dimostrazioni sorprendenti di attacchi complessi, rapidità e grandi manovre. In ciascuna di queste operazioni, l’Armata Rossa possedeva un generale controllo sullo scenario.

Perché era in grado di concentrare schiaccianti superiorità di personale e materiale in alcuni settori di sfondamento prima che il nemico potesse ridistribuire le sue forze e nonostante il fatto che complessivamente il vantaggio delle forze in campo nell’intero scenario di guerra non fosse poi così favorevole all’Armata Rossa rispetto al singolo punto di sfondamento. Gran parte di tutto questo era stato il frutto di una struttura di comando libera, che conferiva al comandante operativo autorità su tutte le formazioni e le armi di servizio nella sua zona di responsabilità.

Questo è il modello che Syrsky e i suoi subordinati stanno cercando di impiegare a Kursk e, in circostanze molto meno favorevoli, a Pokrovsk. Adesso sono i russi a possedere una struttura di comando ingolfata: troppe autorità di comando, responsabilità sovrapposte, subordinati in conflitto tra loro. E queste criticità li hanno perseguitati fin dall’inizio.

Questo spiega in gran parte perché le considerevoli superiorità di forza della Russia hanno prodotto così scarsi vantaggi. Spiega anche perché la perdita delle città “strategicamente significative” di Bakhmut (un’operazione della Wagner) e Avdiivka non si è tradotta in un successo sostanziale a livello operativo. Anche nel bunker di Putin, deve essere stato registrato che ventimila o trentamila soldati (paragonabili alle perdite in Afghanistan) sono stati sacrificati per proteggere Bakhmut e che le perdite ad Avdiivka sono state almeno altrettante.

Eppure, al momento in cui scrivo, Chasiv Yar (diciassette chilometri da Bakhmut) e Toretsk (trentacinque chilometri) sono ancora nelle mani dell’Ucraina. A questi esempi si aggiungono diversi errori di valutazione clamorosi, tra cui il ridispiegamento dell’80a Brigata Artica dal confine tra Norvegia e Finlandia all’estuario del Dnipro, dove è stata decimata perché le sue competenze specialistiche non avevano alcuna utilità in quella zona.

Il fatto davvero saliente è che i russi non hanno più la superiorità a livello operativo che i loro predecessori sovietici hanno saputo sfruttare in maniera così significativa. In nessun momento hanno trasformato il successo tattico in un successo sul campo. Ma Putin capisce le conseguenze di tutto questo? Non sembra. A Tuva il 2 settembre si è vantato: «Le Forze Armate russe non controllano più territori di 200-300 metri [nell’offensiva del Donbas] ma chilometri quadrati». In breve, le operazioni di logoramento stanno raggiungendo il loro scopo.

Cosa spiega il fatto che la saggezza ereditata dall’Unione Sovietica sull’arte bellica non sia messa all’opera? Tra le tante ragioni che possono essere citate, la principale è il sistema di potere statale stesso. Oggi, l’Fsb ha una responsabilità sproporzionata, anche in materia militare. Ha svolto il ruolo principale nella pianificazione della disastrosa invasione del febbraio 2022.

Ha utilizzato la sua posizione privilegiata per rimuovere gli ufficiali più talentuosi e volitivi dello Stato maggiore. E poiché è l’agenzia primaria per il mantenimento della sicurezza interna, le è stata affidata l’autorità di comando a Kursk, anche se non è il centro di una provocazione terroristica ma un teatro di guerra.

Tutto questo è la conseguenza della determinazione di Putin di affidarsi a uomini leali e sottomessi piuttosto che a persone di ingegno e capacità comprovate. Fino al 1941, il sistema di Stalin era lo stesso. Ma entro la fine di quell’anno, i generali incompetenti come Gerasimov furono rimossi e quelli con brillantezza dimostrata e dimostrabile furono promossi. Affidare l’autorità militare all’Nkvd e al Kgb era un anatema per i leader sovietici, persino per Stalin. Ma Putin non ha tratto profitto da questa esperienza.

Saremmo negligenti se non aggiungessimo che, nel corso del 2024, l’Ucraina ha espulso gran parte della flotta russa del Mar Nero a Novorossiysk e ha reso il territorio della Crimea occupata pericoloso per le forze aeree e terrestri russe e per le infrastrutture che le supportano; ha smorzato, anche se non completamente invertito, l’offensiva russa di primavera a Kharkiv e, nonostante le restrizioni occidentali all’impiego delle sue armi, ha anche reso i depositi di armi, i depositi di petrolio, i centri di comando e gli hub logistici russi sempre più vulnerabili agli attacchi.

Inoltre, queste stesse restrizioni occidentali sono state una scarica di adrenalina per l’industria della difesa ucraina, la cui innovazione tecnologica è stata completata dall’innovazione tattica sul campo.

Tuttavia, fino a ora, nessuno dei risultati dell’Ucraina ha diminuito la priorità assoluta assegnata da Putin all’offensiva del Donbas. Militarmente, non è necessariamente un errore. Le forze russe più capaci sono ancora impegnate nella presa di Pokrovsk. Se qualcuno a Kyjiv sperava in un ridispiegamento di queste forze per difendere la Madre Russia, non è successo.

Di sicuro, però, gli ultimi eventi sono importanti di per sé. L’offensiva di Kursk ha reso un’imminente offensiva russa a Sumy impossibile, morta sul nascere. Ha costretto la Russia a cercare nuove unità ovunque, perlopiù truppe scarsamente addestrate, per espellere gli intrusi ucraini.

L’incursione dell’Ucraina ha imposto un sostanziale ridispiegamento, almeno trentamila unità, a Kursk dall’Ucraina, e sebbene questo ridispiegamento non abbia diminuito la concentrazione delle forze dirette contro Pokrovsk, ne ha ostacolato l’aumento, le ha private di nuove riserve e ha permesso all’Ucraina di lanciare contrattacchi di successo in altre aree del fronte.

Mentre il ritmo dell’offensiva di Pokrovsk ha accelerato ad agosto, ha rallentato a settembre. Inoltre, secondo un esperto ucraino: «La direzione di Pokrovsk è considerata dal nostro comando come secondaria, al momento. Per stabilizzare la situazione, vi sono state trasferite unità della Guardia nazionale e la 25a Brigata aeromobile è stata trasferita direttamente alla direzione di attacco a Pokrovsk vicino a Novohrodivka […] La logistica non passa attraverso Pokrovsk per ragioni del tutto oggettive […] Brigate molto più forti vengono trasferite in altre parti del fronte».

Secondo lo Ukraine’s Centre for Defence Strategies, il Centro ucraino per le strategie di difesa: «Il comando nemico sul teatro delle operazioni deve condurre un riordino strategico tra le zone operative e rafforzare il raggruppamento operativo “Tsentr (Centro)” nella direzione di Toretsk con almeno un corpo d’armata […] Senza il coinvolgimento di forze e risorse aggiuntive, il comando della 41a armata [di Tsentr] dovrà presto concentrarsi su direzioni e settori più ristretti o abbandonare azioni offensive simultanee in tutta la zona operativa […] Entro la fine di quest’anno, il nemico non solo non riuscirà a occupare l’Oblast di Donetsk entro i suoi confini amministrativi, ma non sarà nemmeno in grado di conquistare la “fortress belt” di Kostyantynivka-Druzhkivka-Kramatorsk-Slovyansk».

Proprio per questo, l’intero settore a sud di Pokrovsk è seriamente a rischio di cadere nelle mani del nemico. Pokrovsk potrebbe essere secondaria al momento nelle valutazioni dello Stato Maggiore, ma questo giudizio potrebbe rivelarsi errato.

Sebbene le operazioni di Pokrovsk e Kursk abbiano ciascuna la propria grammatica, sono strettamente collegate. La dinamica di ciascuna di esse è estremamente fluida. In entrambi i teatri, le Forze armate dell’Ucraina si ritirano quando devono. Ma cedono anche territorio di proposito per rinforzare punti più importanti e intrappolare unità russe in avanzamento.

Il contrattacco della Russia a Kursk il 10 settembre è stato ampiamente riportato. Invece quasi non è stato riportato, a ovest, il secondo assalto di confine dell’Ucraina il 12 e le nuove avanzate che sono seguite. Avanzata e ritirata, accerchiamento e fuga, sono roba da guerra di manovra. Al momento in cui scrivo, nulla è stato deciso e ogni previsione è prematura.

Adesso, non dovremmo perdere di vista tre cose note. In primo luogo, indipendentemente da come si svilupperanno le realtà del campo di battaglia, il fattore politico sarà quello decisivo. Uno degli obiettivi principali dell’operazione Kursk dell’Ucraina è cambiare la narrazione al di fuori dell’Ucraina. Eppure, purtroppo, non sta cambiando.

Qualunque cosa accada dopo, almeno fino alle elezioni statunitensi non ci sarà alcun cambiamento nelle decisioni di Washington. Vladimir Putin rimane convinto che il tempo sia dalla parte della Russia e che l’Ucraina sia completamente dipendente dall’Occidente, la cui politica sarà fatta a Washington e Berlino, piuttosto che a Varsavia, Tallinn o Londra – per quanta audacia e tempra possano avere lì.

Inoltre, è ugualmente convinto che un’incursione ucraina limitata e contenibile attraverso il confine russo non rappresenti una minaccia accertabile per il sistema di potere in Russia stessa.

In secondo luogo, l’Ucraina e gli Stati Uniti vedono la guerra attraverso lenti diverse e probabilmente continueranno a farlo. Gli ucraini credono che la loro causa sia eminentemente sostenibile se l’Occidente è disposto a sostenerla. Credono anche che una vittoria significativa, ovvero la rottura del potenziale offensivo dell’esercito russo e il ritiro di una buona parte dei suoi guadagni territoriali, rientri nel campo del possibile.

Ma negli Stati Uniti, in Germania e in molti altri luoghi, la convinzione che «la Russia non può essere sconfitta» è solidamente radicata (così come, in totale contraddizione, il timore che la sconfitta della Russia sarebbe troppo pericolosa da gestire).

Mentre gli ucraini e i loro partner più coinvolti nell’Europa centro-orientale credono che la guerra giustifichi la loro convinzione storica che la Russia sia provocata solo dalla debolezza, un certo numero di persone influenti in Occidente, persino alcuni convinti della necessità di imporre sanzioni alla Russia, credono che la guerra sia stata provocata dall’allargamento della Nato e dalla sottovalutazione degli “interessi legittimi” della Russia.

Inoltre, mentre l’amministrazione Biden ammette che la probabilità di un’escalation nucleare è bassa, il Presidente e il suo team per la sicurezza nazionale ritengono che sia comunque troppo significativa per rischiare. Evitare un conflitto più ampio ha la precedenza sulla vittoria, come la intendono gli ucraini. Per l’Ucraina, la sconfitta del nemico e la sopravvivenza sono inseparabili. Queste differenze non sono facilmente conciliabili.

In terzo luogo, e per queste ragioni, la fiducia tra Ucraina, Stati Uniti e Germania è nettamente diminuita. La richiesta del Consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, nel bel mezzo della sospensione degli aiuti militari statunitensi da parte del Congresso, che l’Ucraina smettesse di colpire la Russia con le proprie armi, ha ricevuto un veemente rifiuto da Volodymyr Zelensky ed è stata ignorata. Non sorprende che Kyjiv abbia nascosto a Washington i suoi piani per l’operazione Kursk.

Sebbene il direttore della Cia William Burns abbia avvertito che il trasferimento di missili iraniani alla Russia sarebbe stata una «escalation drammatica», al momento in cui scrivo, il loro dispiegamento non ha modificato di una virgola le restrizioni di Washington per l’Ucraina. In questo contesto, il leitmotiv di Putin secondo cui l’Occidente sosterrà la guerra fin quando non rimarranno più ucraini a combattere ha acquisito un tono ancora più inquietante.

A queste realtà, possiamo aggiungere una prognosi ben fondata. Non ci saranno cambiamenti negli obiettivi fondamentali della Russia finché Vladimir Putin e i pilastri del suo regime saranno al loro posto. Nel 2014, abbiamo riassunto questi obiettivi come sottomettere l’Ucraina o distruggerla. Oggi, la Russia sta facendo del suo meglio per rendere l’Ucraina inabitabile e insostenibile.

Tuttavia, Washington aderisce all’assioma che tutte le guerre finiscono con dei negoziati. Pochi in Ucraina credono che la Russia sarà pronta a fare concessioni significative finché non sarà sul punto di essere sconfitta. La dichiarazione di Zelensky secondo cui l’operazione Kursk è progettata per garantire una leva negoziale potrebbe placare Washington, ma non corrisponde alle sue convinzioni su Mosca. Il punto non è persuadere la Russia, ma fermarla.

In effetti, l’operazione Kursk dell’Ucraina ha ribaltato la situazione sul campo. Ma la triste verità è che questo potrebbe non avere importanza.

Articolo originariamente pubblicato dall’International Centre for Defence & Security (Icds) di Tallinn e dal quotidiano Postimees.

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