«Il modello Italia contro l’immigrazione è un bluff» (metronews.it)

di Patrizia Pertuso

Diritti

Nei giorni scorsi il Primo Ministro britannico Keir Starmer ha incontrato a Roma la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni per conoscere l’approccio dell’esecutivo “volto ad arrestare l’immigrazione irregolare di massa” sostenendo che «qui (in Italia, ndr) ci sono state delle riduzioni piuttosto drastiche.

Voglio capire come è successo». Di questo abbiamo parlato con Bruno Milone, docente di Sociologia dell’immigrazione presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici “P.M. Loria” di Milano.

Prima di tutto, a livello sociologico di cosa parliamo quando parliamo di immigrazione illegale?

«L’Italia è sottoposta a una pressione demografica prevalentemente dall’Africa anche se un quinto degli ultimi sbarchi sulle coste italiane, secondo i dati dell’Idos e dell’Ismu, provengono dal Bangladesh. Nei primi sei mesi di quest’anno il numero degli sbarchi clandestini è diminuito rispetto all’anno scorso: dal primo gennaio al 30 giugno 2024 ci sono stati 25 mila sbarchi mentre l’anno scorso erano 65 mila nello stesso periodo.

Detta così, sarebbero più della metà, ma la questione è che l’arrivo sulle nostre coste è determinato da fattori che molto spesso non dipendono da provvedimenti del governo tanto è vero che questa stessa cifra si riscontra nel 2022 con circa 27 mila sbarchi e nel 2021 quando era in carica il governo Draghi. Presentare come un successo questo calo di sbarchi è un po’ prematuro perché bisogna vedere cosa succede nel lungo periodo.

La crisi dei rifugiati, come è stata chiamata nel 2016 e nel 2017, è una crisi determinata da numerose altre crisi internazionali compresa la Siria e la Libia, per esempio. E queste situazioni di crisi internazionali hanno determinato un incremento dei rifugiati. L’arrivo sulle coste degli illegali è quindi determinato da fattori esterni non solo legati alla presenza di un governo amico o nemico.

Bisogna poi tener presente che il fatto che la rotta centrale mediterranea sia più complicata da raggiungere non ha determinato una diminuzione nella presenza degli arrivi illegali perché ci sono le partenze dalla Tunisia con i barchini che non vengono registrate: sono piccole barche che approdano sulle nostre coste e gli immigrati vengono accolti dagli emissari del traffico clandestino.

Poi, ci sono gli irregolari che arrivano con le barche da turismo dalla Grecia alla Puglia e, dato il flusso costante che c’è di natanti turistici, non vengono censiti. Inoltre, il governo non fornisce dati sulla rotta balcanica cioè sugli ingressi in Italia via terra».

Una sorta di immigrazione sommersa.

«Certo. Non fornendo questi dati il governo tende a presentare questi cali come un successo. Non registrare quelli via terra o non tener conto di altre forme o modalità di sbarco fa la differenza. È vero che sono difficili da individuare però la rotta del Mediterraneo è ancora molto attiva».

Ci sa dare dei dati precisi?

«La Siria ha registrato 5 milioni di profughi e il 70% di questi sono nei paesi vicini, Giordania, Libano e Turchia. Quando parte di loro, durante la guerra in Siria che è durata parecchi anni, ha deciso di cercare di arrivare in Occidente c’è stato un movimento molto significativo.

Una parte della crisi dei rifugiati degli anni 2016 di cui parlavo prima è dovuta proprio alla presenza di quelli siriani. Altra questione riguarda il cosiddetto “modello italiano”. Esternalizzare le frontiere è la politica costante dell’Unione Europea da quando si è determinato il fenomeno migratorio dovuto alla creazione dell’area di Schengen per cui una persona, arrivata in un punto dell’Italia o della Spagna, può poi andare ovunque in Europa.

La rotta mediterranea centrale si è aperta quando c’è stata la crisi libica. Prima, la rotta preferita era da Cento e Melilla in Marocco verso la Spagna. La Germania paga la Turchia, l’Italia pagava la Libia, la Spagna, il Marocco, e la Francia la Tunisia. Esternalizzare le frontiere è sempre stato uno dei modi per cercare di bloccare l’immigrazione cosiddetta clandestina soprattutto nell’area del Mediterraneo. Anche l’accordo con l’Albania non è per niente una novità».

Si riferisce ai centri per i migranti in Albania?

«Esattamente. In Albania ci sono due centri: uno per l’accoglienza e uno per i respingimenti. Nell’accoglienza vengono effettuati i riconoscimenti, ed è lì che viene riconosciuto o meno lo stato di rifugiato. Chi non lo ottiene passa nel secondo centro. Questo modello è stato copiato dall’accordo fatto nel 2012 dall’Australia con la Papua Nuova Guinea.

L’Australia aveva costruito in Papua Nuova Guinea due centri dove trasferire gli immigrati irregolari. Questi centri sono poi finiti nel mirino delle società umanitarie e dell’Onu perché erano sovraffollati, non garantivano alcuna sicurezza né aiuti sanitari ai presenti, oltre al fatto che tutte le pratiche per il riconoscimento dei rifugiati non venivano svolte in modo celere. Sono stati chiusi nel 2021».

Mi sta dicendo che il modello Italia è un bluff copiato da altri Paesi?

«Il “modello Italia” è un bluff. Quando venne firmato l’accordo fra l’Australia e la Papua Nuova Guinea ricordo che tutte le forze contrarie all’immigrazione lo presentarono come la nuova arma per la lotta all’immigrazione stessa. Poi, col tempo, si è rivelato un bluff.

Questi centri raccoglievano molto spesso più del doppio delle persone che erano in grado di ospitare. Anche per i centri in Albania i numeri non sono mai stati resi pubblici: gli stessi albanesi parlano al massimo di poche migliaia di persone; qui in Italia, invece, se ne parla come se ne potessero accogliere oltre 10 mila.

L’esperimento australiano, anche se passarono 19 anni prima della sua chiusura, fallì per il sovraffollamento, per la mancanza di sicurezza e per questioni sanitarie come dicevo prima: quei centri sono stati chiusi perché non garantivano il minimo dignitoso di quelli che chiamiamo ancora, fino a prova contraria, i diritti umani.

La questione del “modello Italia” è più una questione propagandistica che altro: se guardiamo alla storia, l’esternalizzazione delle frontiere fa parte della lotta all’immigrazione irregolare. Ma è sempre stato un fallimento. Il problema dell’immigrazione è che sembra si concentri sulla questione dell’immigrazione clandestina quando invece rispetto al fenomeno dell’emigrazione ne è solo una piccola parte».

Anche in questo caso le chiederei i dati.

«In Italia ci sono 5 milioni di immigrati. Quando parliamo di irregolarità/clandestinità abbiamo delle cifre che, secondo le questure o l’Ismu, si aggirano tra le 400 e le 500 mila persone. Il dibattito sembra si sia concentrato sulla questione dell’immigrazione clandestina.

Da questo punto di vista siamo alla schizofrenia: da un lato ci sono categorie sociali, come gli imprenditori, che chiedono un aumento dell’immigrazione controllata perché hanno difficoltà a reperire lavoratori in parecchi settori a causa del calo demografico e dell’aumento dell’emigrazione, fattori che portano a una drammatica situazione dal punto di vista della sostenibilità, del sistema pensionistico, del welfare, della sostenibilità economica. Dall’altro lato, abbiamo una politica concentrata sulla lotta contro l’immigrazione clandestina».

Facciamo chiarezza sui termini: cosa si intende per clandestino e per irregolare?

«Il clandestino è chi si introduce clandestinamente nel territorio nazionale. L’irregolare può essere chi ha perso il permesso di soggiorno o anche chi non lo ha rinnovato».

È giusto avvicinare questi due termini?

«Assolutamente no perché ci sono parecchi motivi per cui si può cadere nell’illegalità senza per questo essere entrato clandestinamente nel nostro Paese».

Ha detto che, in base al calo demografico e all’emigrazione, si hanno difficoltà a reperire lavoratori. Ci sono anche immigrati che vengono visti come forza lavoro, sottopagati, lasciati vivere in condizioni più che precarie o addirittura lasciati morire. Ritiene che queste notizie arrivino a chi decide di sbarcare da noi?

«L’Italia ha perso negli ultimi anni un certo appeal per quanto riguarda il Paese dove emigrare: uno rischia la vita e poi finisce a lavorare con i caporali nel Mezzogiorno d’Italia. Stiamo tornando ad essere un paese di transito. Infatti da un quinquennio l’immigrazione rimane ferma attorno ai 5 milioni. Certo, ci sono stati degli arrivi, ma sono dovuti a ricongiungimenti familiari, a immigrazioni forzate come, per esempio, quelle dall’Ucraina.

Per quanto riguarda la diffusione delle notizie di cronaca, il passaparola c’è. Gli immigrati, spesso, sanno tutto ma accettano certi lavori perché devono mandare soldi alla famiglia. Poi ci sono le richieste di cittadinanza che si sono stabilizzate intorno alle 100 mila l’anno. Abbiamo ancora una legge sulla cittadinanza di 30 anni fa per cui vale ancora lo ius sanguinis: un immigrato argentino, per esempio, che ha un antenato italiano che non ha perso la cittadinanza italiana, anche se risale a due generazioni precedenti, può recuperarla.

È una cosa già avvenuta in America Latina. L’incremento che c’è stato nel Venezuela per la crisi che sappiamo, ma anche in Argentina e in altri Paesi di richieste di cittadinanza italiana nasce perché è più facile passare dall’America Latina all’Italia per arrivare negli Stati Uniti che emigrare direttamente negli States».

Finora ci ha spiegato che il leader laburista Starmer ha preso una svista, che il “modello Italia” è un bluff, che l’emigrazione supera l’immigrazione e che i numeri degli immigrati dati dal governo non sono quelli effettivi.

«Vede, è un po’ come con il Covid: non si danno i numeri e il Covid sparisce».

Ci siamo persi altro?

«Un’ultima cosa interessante. Dato che i governi di destra sono quelli che hanno fatto il numero di sanatorie più alto in Italia, vengono visti come quelli che “tanto poi una sanatoria te la fa”, quindi…».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *