Il cambiamento nelle scuole: indispensabile (quanto lontano) (corriere.it)

di Ernesto Galli della Loggia

Nella morsa dei sindacati

Da molti decenni in Italia non esiste alcuna associazione di insegnanti che per la sua consistenza sia degna di questo nome.

La partitizzazione e la sindacalizzazione tipica della nostra storia repubblicana hanno messo virtualmente fuori gioco o si sono mangiati sul nascere qualsiasi iniziativa di questo tipo. Il risultato è che in Italia qualunque discorso sulla scuola è destinato a non registrare mai l’opinione per così dire ufficiale e «informata dei fatti» di coloro che in essa hanno il ruolo evidentemente centrale.

Degli unici che hanno l’esperienza diretta di che cosa realmente succeda nelle aule scolastiche, gli unici che possono testimoniare circa le reali conseguenze dei provvedimenti che periodicamente calano su quelle aule dai cieli della politica. In Italia gli insegnanti sono virtualmente muti.

In vece loro si fanno sentire i «sindacati della scuola». O meglio, come recita il nome del più importante di essi, quello affiliato alla Cgil — debitamente imitato dagli altri — il sindacato «dei lavoratori della conoscenza»: presieduto, nel caso di quello della Cgil, da un’avvocata ex maestra elementare, come si legge su Internet.

Nel quale sindacato si ritrovano tutti e tutti insieme: i dirigenti, i docenti, il personale amministrativo, gli uscieri, i tecnici, e addetti a qualunque tipo di istituzione: che siano le scuole all’estero, le scuole pubbliche e private, le Università di qualunque tipo, le accademie, i conservatori, gli istituti di ricerca, gli istituti di formazione professionale. Mancano le scuole di tennis e di nuoto ma forse sono in lista d’attesa…

Per forza di cose un sindacato variegato e pletorico del genere, lungi dal poter essere gestito e rappresentato nei vari consessi da insegnati veri, da lavoratori veri, può esserlo solamente da funzionari professionisti del sindacalismo, da burocrati sindacali. Cioè da persone che non hanno alcuna esperienza diretta della vita e dei bisogni della scuola, dei suoi programmi, del contatto con i giovani: estranee quindi alla sua più intima natura educativa e culturale, al suo spirito.

I sindacalisti della scuola suppliscono a tutto ciò con l’ovvia adesione all’ideologia necessaria in Italia per essere iscritti al club del bravo cittadino democratico, vale a dire — cito dal capitolo «La casa comune» sul sito del Flc-Cgil: «Il ripudio della guerra e della violenza, la Resistenza, i diritti, la diversità culturale» e via di questo passo.

Si aggiunga il contenuto culturale che trasuda dai loro documenti redatti da anni all’insegna dei quattro imparaticci (da anni sempre i medesimi) del «pedagogichese» politicamente corretto.

In realtà i sindacati sanno di un solo argomento e solo ad esso sono interessati: assunzioni e retribuzioni (naturalmente la Cgil si sente anche impegnata a manifestare la sua obbligatoria avversione per ogni governo che non sia di centro-sinistra).

E quindi per essi ogni politica scolastica si riduce di fatto a un’unica cosa: al livello delle retribuzioni e all’allargamento del numero degli addetti, precari o no che siano (la nuova figura dell’«insegnante di sostegno» serve ottimamente a far aumentare di continuo il numero dei docenti mentre gli studenti diminuiscono).

È proprio sul tema delle retribuzioni i sindacati svolgono un ruolo che si rivela nefasto. Essi infatti sono convinti da sempre che la progressione degli stipendi debba essere definita solo dall’anzianità, in nessun caso dal merito. Al massimo consentono che siano previsti piccoli compensi per attività sussidiarie di cui questo o quell’insegnante può essere incaricato (in genere con il beneplacito del dirigente scolastico), ma niente di più.

Ho scritto nefasto, a ragione. La qualità dell’istruzione, infatti, dipende principalmente dalla qualità degli insegnanti. Ora è noto che mediamente in Italia tale qualità lascia alquanto a desiderare e che specie in alcune zone del Paese sia anche questa uno delle cause degli scarsi risultati conseguiti dagli alunni.

Proprio perciò da noi ci sarebbe più che mai bisogno di incentivi che premino la qualità degli insegnanti, che li sollecitino a migliorarsi, a migliorare i risultati ottenuti in aula. Anche al fine di rendere la professione dell’insegnante non già una soluzione di ripiego, come troppo spesso avviene, ma capace di attrarre i giovani più dotati. Come può essere ambìto, infatti, un lavoro nel quale sai in partenza che le tue capacità non contano nulla ai fini di quell’ovvio, necessario, riconoscimento sociale che è la retribuzione?

Per i sindacati della scuola, viceversa, lo stipendio eguale per tutti a prescindere dal merito è una necessità vitale. Solo così, infatti, essi possono assicurarsi l’esistenza degli insegnanti come massa indistinta dipendente unicamente dalla contrattazione collettiva di cui sono essi i padroni. Solo così il sindacato è in grado di mantenere una rappresentatività di fatto totalitaria e quindi un peso politico.

Ne sanno qualcosa quei pochissimi ministri dell’istruzione — ne ricordo il più noto, Luigi Berlinguer — che hanno osato cercare di mutare questo andazzo e ne sono rimasti stritolati.

È da tempo, insomma, che nella scuola il sindacato sembra privilegiare ogni volta lo status quo in opposizione a qualunque progetto rinnovatore, a qualunque cambiamento mirante ad arrestare il minaccioso declino del nostro sistema d’istruzione. Un declino destinato ai suoi esiti più disastrosi fintanto che l’opinione pubblica non aprirà gli occhi e starà muta e passiva ad assistere al triste spettacolo.

(Giulia Squillace)

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