All’Italia manca la volontà politica di opporsi alla propaganda filorussa (linkiesta.it)

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Ventre molle dell’Europa

Per contrastare la disinformazione e le politiche aggressive del Cremlino serve un’Ue integrata e con un’idea forte di sicurezza.

Ma, come spiega a Linkiesta il senatore Enrico Borghi (Italia Viva) membro del Copasir, «spesso non c’è la determinazione di perseguire l’obiettivo che sta alla radice delle sanzioni, cioè indebolire l’economia di guerra di un Paese invasore»

Nell’ultima settimana, con tre inchieste di Massimiliano Coccia, Linkiesta ha rivelato le strategie più subdole con cui la propaganda filorussa si infiltra in Italia, nelle istituzioni, nei media, nella politica; poi ha ricostruito le triangolazioni che hanno coinvolto il tessuto imprenditoriale – italiano ed europeo – e le falle nei sistemi di sorveglianza che hanno permesso alla Russia di aggirare le sanzioni.

Non c’è una strategia unica, ma una pluralità di soggetti dietro alla macchina della propaganda putiniana. E l’Italia è probabilmente il Paese che più di tutti in Europa subisce la fascinazione della Russia.

«Il primo motivo di questa fascinazione va ricercato nel retaggio di un pezzo della sinistra italiana, in cui c’è ancora una parte di filamento con la storia del Novecento che ha visto il rapporto organico tra Mosca e Botteghe Oscure, e quindi scatta a volte una sorta di riflesso condizionato», dice a Linkiesta il senatore Enrico Borghi (Italia Viva), membro del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica – l’organo che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei servizi segreti italiani.

Ma ci sono anche altri motivi, aggiunge Borghi. «C’è un generale apprezzamento per il sovranismo, almeno dal governo Conte I, quello formato da Movimento 5 Stelle e Lega, che faceva della predicazione di Dugin e dell’icona di Vladimir Putin un mastice ideologico di riferimento, le cui propaggini arrivano sin qui come si vede dalle posizioni dei due partiti sulla guerra in Ucraina».

Ma parte delle responsabilità sono anche di Fratelli d’Italia e della premier Giorgia Meloni, «che nella sua autobiografia di pochi anni fa definì Putin “l’unico vero statista europeo perché è l’unico ad avere a cuore le radici cristiane”. E anche se la realpolitik ha obbligato la premier a convertirsi sulla via di Washington (e con fatica anche di Bruxelles), questo elemento e questa inflessione culturale a destra ha scavato e non poco».

E infine ci sono gli storici rapporti economici Italia-Russia: «Fino alla stagione delle sanzioni e delle invasioni russe in Crimea prima e nel Donbas e Luhansk poi, e soprattutto ci eravamo affidati a Mosca come cordone ombelicale per la questione energia, creando interessenze di business. L’intreccio di questi quattro fattori ha creato una porosità particolare del nostro Paese per la Russia», aggiunge Borghi.

Il Copasir, per definizione, segue con attenzione tutto ciò che riguarda la sicurezza nazionale, e quindi anche la propaganda putiniana. Tra l’altro proprio grazie al lavoro di questo organismo, in piena stagione pandemica, era emersa quell’infodemia con cui Mosca – attraverso i suoi canali di disinformazione – condizionava le opinioni pubbliche occidentali sui vaccini e la risposta sanitaria al Covid-19.

Solo che adesso, come nota anche il senatore Borghi, «siamo davanti a un salto di fase che esige al nostro Paese un salto di qualità. Il vertice dei servizi segreti italiano e il nostro capo di stato maggiore sono venuti in Parlamento a denunciare la disinformazione russa come strumento di guerra ibrida».

La scorsa primavera è arrivata in Senato una proposta, nata da un’iniziativa di Italia Viva e dello stesso Borghi, per la creazione di un’Agenzia per la Sicurezza Cognitiva e contro la disinformazione, sulla falsariga di modelli già esistenti in Francia, in Svezia, negli Stati Uniti, negli Stati baltici. Un terzo servizio, da affiancare ad Aise e Aisi, sotto il coordinamento del Dis, con la funzione di monitorare e interpretare l’andamento dei fenomeni di disinformazione per consegnare a Governo e Parlamento la fotografia di ciò che accade

Ma un disegno di legge, da solo, non basta. Il principale ostacolo alla vigilanza sulle sanzioni è nelle intenzioni, di adesione a un’idea democratica: «È una questione di volontà politica», dice Borghi. «Inutile girarci intorno, conta la determinazione di perseguire o meno l’obiettivo che sta alla radice delle sanzioni, che è quello di indebolire l’economia di guerra di un Paese invasore.

Se si crede convintamente e sinceramente a questi obiettivi, si mette altrettanta volontà sulla vigilanza delle sanzioni. Se, invece, si è aderito in maniera farisaica e di maniera a questo strumento, alla fine poi si determina una situazione di dissolvenza».

Se le sanzioni sono lo strumento migliore per fermare l’imperialismo russo, anche a livello europeo, una fallacia nella fase di controllo e rispetto delle sanzioni rischia di vanificare ogni sforzo. Ed è qui che è più urgente intervenire. «È il momento di far nascere finalmente un’Europa della sicurezza, al posto dei balbettii attuali», dice Borghi.

«Il rapporto Draghi sul futuro dell’Unione europea lo ha detto chiaramente: se continuiamo in questo modo, a frammentare le risorse e a procedere per compartimenti stagni, risulteremo essere inadeguati e insufficienti per l’attuale, ma soprattutto per il futuro contesto geopolitico. La grande responsabilità storica dei sovranisti è questa: aprire la porta al condizionamento delle autocrazie, e impedire all’Europa di crescere per essere adeguata alla sfida. Ecco perché serve una risposta riformista europeista, ed ecco perché il futuro sul piano politico non potrà che polarizzarsi su questo: europeisti riformatori da un lato, nazionalisti sovranisti dall’altro».

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