Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 21 settembre 2024
Il rapporto Draghi ci ha fornito un quadro completo ed esauriente dei grandi progressi che l’Unione Europea deve compiere per ritornare a ricoprire il dovuto ruolo nel mondo o, semplicemente, per sopravvivere. Il quadro è tecnicamente ineccepibile e completo nel suggerire gli interventi e gli investimenti necessari per competere con Cina e Stati Uniti.
Da parte di molti politici e commentatori si è immediatamente obiettato che tutto questo, comportando un volume di spesa dell’ordine di 750-800 miliardi di Euro all’anno, troverà ostacoli difficili da superare sia per le difficoltà finanziarie di molti paesi, sia per le opposizioni politiche che i governi, a partire da quello germanico, stanno già portando avanti di fronte all’ipotesi di dovere contare su un sostanzioso indebitamento europeo.
Nelle azioni proposte da Draghi vi sono tuttavia due possibili rivoluzioni che non costano nulla. La prima riguarda la ben nota e discussa riforma dei processi decisionali dell’Unione, mettendo fine al voto all’unanimità, prospettando un’estensione del voto a maggioranza qualificata fino ad ipotizzare un’Europa a più velocità, con alcuni paesi che intendono essere d’esempio, operando fra di loro in modo più stretto. Come è peraltro avvenuto nel caso dell’Euro che, partito con dodici paesi partecipanti, è arrivato a comprenderne venti.
Questa è tuttavia una rivoluzione che, pur non costosa, il rapporto Draghi non può sperare di concretizzare in un tempo prevedibile perché non vi è, almeno ora, un clima politico favorevole. I governi (a partire da quello ungherese per arrivare a quello italiano) non sono disposti a rinunciare al diritto di veto e non esiste, almeno per ora, lo spirito di collaborazione fra Francia e Germania che è necessario per proporre una cooperazione rafforzata nei confronti delle grandi decisioni che condizionano il futuro dell’Europa, a partire dalla politica estera e dalla difesa.
Il rapporto auspica tuttavia che il voto a maggioranza qualificata, evitando il diritto di veto, possa essere applicato con maggiore frequenza anche se non nelle decisioni fondamentali. Qualcosa può essere comunque fatto: prendiamolo come auspicio.
La proposta di Draghi può essere invece messa in atto rapidamente e senza problemi di bilancio per quanto riguarda la semplificazione delle gravose e spesso incomprensibili norme che vengono imposte a ogni tipo di attività dal complicato intreccio fra le disposizioni europee e le legislazioni nazionali.
In questo campo si è creata una situazione che sta soffocando l’Europa in ogni settore, dalle imprese produttive alle strutture di ricerca e di insegnamento, fino al funzionamento dei servizi e della Pubblica Amministrazione.
Le Piccole e Medie Imprese non riescono più a fare fronte agli obblighi aggiuntivi che impongono costi insopportabili e del tutto ridondanti rispetto agli obiettivi che quest’eccesso di clausole burocratiche si propone. Come si legge nel rapporto Draghi le nuove normative europee crescono infinitamente di più di quanto non avvenga nelle economie comparabili.
Tra il 2019 e il 2024 negli Stati Uniti sono stati promulgati 3500 testi di legge e l’UE, con competenze più limitate, ne ha approvate 13000, senza che si posseggano gli strumenti per analizzare i costi e i benefici di questi obblighi aggiuntivi. A questo si somma il costante appesantimento delle norme stesse attuate dagli Stati nazionali nel momento del recepimento.
L’invito alla semplificazione e all’eliminazione di sovrapposizioni e incongruenze viene finalmente presentato, dal rapporto Draghi, come un obiettivo prioritario per il salto di qualità della nuova Europa, iniziando almeno con l’adottare le stesse metodologie e gli stessi criteri procedurali a livello nazionale e comunitario. Sembrano proposte minori, ma sono condizione necessaria per ogni aumento di efficienza.
Abbiamo fatto riferimento all’impatto sproporzionato di normative che riguardano le PMI, ma non è certo di minore importanza constatare che ogni ricercatore o docente universitario impiega ormai quasi la metà del suo tempo nell’adempiere alle sempre più complesse pratiche burocratiche europee e nazionali, e solo l’altra metà può essere dedicata alla ricerca e all’insegnamento.
E non si tratta di un caso isolato perché ormai questa tragedia si estende in tutti i settori. E si deve ammettere che questa moltiplicazione di norme non è il frutto di una strategia che tiene conto del grado di importanza e dei costi e benefici dei nuovi obblighi.
Per fare un esempio, non è facile spiegare a un comune cittadino come sia stato imposto il pur opportuno obbligo di legare in modo indissolubile il tappo di plastica alla bottiglia dell’acqua minerale e, dopo decenni di discussione, non sia stato concordato uno standard unico per le ben più importanti prese elettriche, ancora diverse da paese a paese.
Proprio per evitare queste incongruenze e sottolineare l’importanza del problema, il rapporto Draghi ha posto come prioritario questo obiettivo.
Il compito di semplificare la legislazione, ridurre gli obblighi amministrativi e misurare i costi e i benefici di ogni proposta e di ogni emendamento, in perfetta linea con il rapporto Draghi, è stato da Ursula von der Leyen inserito con la dovuta enfasi tra i gravosi e numerosi compiti affidati al fedele e potente Commissario Valdis Dombrovskis.
Ci auguriamo davvero che il compito venga adempiuto non solo con la dovuta diligenza, ma anche con la necessaria sollecitudine.
E’ comunque fonte di orgoglio che l’incarico di indicare le strade per migliorare il futuro dell’Europa sia stato principalmente affidato a due eminenti politici italiani, ma non vorrei che i saggi e opportuni suggerimenti di Enrico Letta e di Mario Draghi rimanessero soltanto dei suggerimenti.