L’ombra della disinformazione russa sull’ascesa dell’estrema destra in Europa (linkiesta.it)

di

Illiberalia

Guerra ibrida

Negli ultimi anni, la propaganda del Cremlino ha contribuito al successo di partiti politici. Al centro di queste operazioni c’è la tech company Social Design Agency, che diffonde contenuti online per influenzare il dibattito pubblico, puntando a indebolire la fiducia nelle istituzioni democratiche

Nel corso dell’ultimo anno, forze politiche di estrema destra hanno vinto varie elezioni nazionali e regionali in Europa. È successo, di recente, in Slovacchia, Austria e Germania. L’estrema destra è andata molto bene anche alle scorse elezioni europee: oggi il gruppo che raduna queste forze politiche, i Patrioti per l’Europa, è il terzo gruppo al Parlamento europeo per numero di seggi (ottantaquattro).

Se il successo di questi partiti deriva da un insieme di fattori, alcuni dei quali ineffabili, uno di questi è dimostrato: l’estrema destra attrae voti diffondendo i messaggi propugnati dalle campagne di disinformazione condotte dalla Russia. Alcuni documenti fatti circolare dal Dipartimento di giustizia americano e dall’Fbi nelle scorse settimane hanno permesso di descrivere con precisione il funzionamento di queste campagne.

Come ricostruito dal consorzio investigativo Vsquare, al centro di queste operazioni c’è l’azienda tech russa Social Design Agency (Sda), già sotto sanzioni da parte dell’Unione europea per la sua collaborazione con le autorità russe. Secondo i documenti fatti filtrare alla stampa, alla Sda lavorano «ideologi», commentatori e un creatore di bot. Tra le sue forme di intervento ci sono: produzione di commenti, creazione di meme, video e fumetti, partecipazione a thread sui social media e diffusione di falsi.

Nei primi quattro mesi del 2024, l’esercito di bot della Sda avrebbe prodotto poco meno di trentaquattro milioni di commenti su vari social media e quasi quarantamila «contenuti», inclusi quattromilaseicentoquarantuno video e duemila cinquecentosedici meme e grafiche, secondo un report interno ottenuto dall’intelligence americana.

Come nota Foreign Affairs, il report del Sda è anche un prodotto di marketing: l’azienda punta a convincere il proprio cliente – il governo russo – di aver svolto un buon lavoro. I dati e i risultati citati vanno quindi presi con le pinze. Restituiscono, ad ogni modo, la dimensione dell’intervento di questa fabbrica di disinformazione nel dibattito europeo.

Un dato interessante dell’azione della Sda è la serialità. L’azienda hi-tech russa opera producendo contenuti standard, che vengono poi adattati ai rispettivi contesti nazionali che si cerca di influenzare in una forma di produzione in serie di disinformazione. Per ogni paese sono indicate delle quote da raggiungere.

In un progetto rivolto a Germania e Francia si indicavano, per esempio: «sessanta fumetti; centottanta meme e quattrocento commenti sotto ad articoli». Il report interno della Sda notava inoltre come i risultati delle elezioni del 2024 in Germania, negli Stati Uniti e nell’Unione Europea avrebbero determinato l’evoluzione delle sanzioni contro la Russia e il supporto all’Ucraina decisi dai governi occidentali.

I contenuti diffusi online avrebbero dovuto quindi battere su questi temi cari al regime russo, come emerge dal format dei commenti suggeriti dalla Sda ai suoi collaboratori: «Scrivete un commento da parte di una trentottenne tedesca, che crede che la Germania stia perdendo la propria principale fonte di entrate: l’industria e un’economia forte.

Dobbiamo smettere di sprecare soldi per l’Ucraina e ritornare ad avere economia a basso prezzo dalla Russia»; «Scrivete un commento da parte di una trentottenne americana che crede che i fondi a Ucraina e Israele debbano essere tagliati. Zelenskij sta sprecando i soldi dei contribuenti [americani]».

Tra le linee narrative da portare avanti tramite queste campagne, sostengono gli estensori del report, ci sarebbero letture come: «I liberali e i globalisti vogliono che abbiamo paura. Vogliono che abbiamo paura della guerra, dei disastri climatici, dei virus, di un attacco russo. Con la paura puntano a sottometterci.

Vogliono anche sfruttare le contraddizioni dei valori familiari, dei diritti Lgbt, e l’incertezza economica causata dalla guerra in ambiti come energia e agricoltura», o anche «Gli Usa stanno conducendo una guerra ibrida ed economica contro la Russia a spese della Germania. Le decisioni anti-russe della Nato e dell’Ue danneggiano innanzitutto i tedeschi». Ovvero, narrazioni molto simili a quelle propagandate da molti partiti di estrema destra in Ue.

Per comprendere il senso e il contesto di questo tipo di «guerra ibrida» bisogna infatti concentrarsi su tre elementi. Primo, come sempre nelle campagne di disinformazione, lo scopo primario non è convincere la maggioranza delle persone raggiunte. È suscitare dubbio e generare sfiducia, indebolendo così il sostegno per le tesi più fondate su qualsiasi tema, dal cambiamento climatico all’invasione russa dell’Ucraina.

Queste campagne puntano allora a intorpidire le opinioni pubbliche europee, spingendo i governi a ammorbidire la propria linea sulla Russia. Come concluso da una recente ricerca sul tema, che ha analizzato circa tre milioni di tweet su tre temi specifici (elezioni americane nel 2016, pandemia da Covid-19 e annessione russa della Crimea), l’impatto diretto della disinformazione esterna sui risultati elettorali resta limitato, ma esse riescono a plasmare i termini del dibattito pubblico online e a influenzare le percezioni del pubblico.

Secondo, il grado di sistematicità e strutturazione raggiunto da queste campagne di disinformazione le rende uno strumento impareggiabile di politica estera, contro cui le pur svariate iniziative delle istituzioni Ue possono poco.

La professionalità del tipo di servizio offerto conferma come operazioni simili non siano più iniziative estemporanee, bensì parte integrante dell’azione di politica estera di stati autocratici come Russia e Cina. Il livello di sistematicità è molto alto: vengono indicati target, obiettivi, modalità di verifica dei risultati, format da replicare e adattare, come se si trattasse di una normale agenzia di consulenza che presta assistenza a enti governativi.

Terzo, l’utilizzo di troll di stato non è un’esclusiva delle autocrazie (vedere l’azione su Facebook della Francia nel Sahel), ma va riconosciuto come i regimi illiberali di Russia e Cina possano sfruttare il modo stesso in cui funzionano le sfere pubbliche in occidente: la piena libertà d’espressione garantita in Europa e Usa permette loro di diffondere teorie del complotto e disinformazione allo scopo di destabilizzare i propri rivali strategici.

In quest’ottica, dunque, chiedersi se e quanto i partiti filorussi credano effettivamente alle tesi che sostengono diventa meno urgente di chiedersi quanto queste tesi facciano il gioco di Russia e Cina, in una fase di crisi del multilateralismo ed emersione di un modello multipolare a livello globale.

Toccando un principio cardine come la libertà d’espressione, questa dinamica pone le società europee di fronte al dilemma esistenziale di trovare un equilibrio tra il diritto a sostenere e diffondere qualunque opinione e la necessità di difendersi da questa forma di guerra ibrida. Il semplice fatto che i paesi occidentali siano oggi costretti ad affrontare questo dilemma conferma quanto le attività di disinformazione condotte da autocrazie intenzionate a ribaltare gli equilibri globali abbiano avuto successo: miravano a far diventare l’occidente più simile a loro, e ci stanno riuscendo.

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